Mercoledì 27 gennaio ore 16.30: IQBAL: BAMBINI SENZA PAURA – ingresso € 4
Mercoledì 20 gennaio ore 18.30 e 21: DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES – ingresso € 5
Sabato 30 gennaio ore 18.30 e 21: QUO VADO?
Domenica 31 gennaio ore 15.30: IQBAL: BAMBINI SENZA PAURA – ingresso € 4
Domenica 31 gennaio ore 17.30-19.30-21.15: QUO VADO?
IQBAL – bambini senza paura
Iqbal: Bambini senza paura è un film che traspone e alleggerisce in chiave animata la cruda realtà dello schiavismo e dello sfruttamento minorile. Un’opera che bilancia la delicatezza del tratto grafico con il coraggio della storia reale cui s’ispira.
Iqbal Masih è un bambino pakistano e, nel 1995, quando muore, ha solo dodici anni. Il suo nome però passerà ai posteri, divenuto il piccolo Iqbal simbolo dell’attivismo contro il cappio dello sfruttamento del lavoro minorile. La sua infatti è la storia terribile ma anche piena di coraggio di un bambino che iniziò a lavorare a soli quattro anni, venduto poi come schiavo per pagare i debiti della sua famiglia e costretto a lavorare oltre dieci ore al giorno pur di fare salva la pelle, ma che infine si ribellò alla sua schiavitù scappando dal suo ‘carceriere’. Poco dopo morì per colpa di uno sparo partito non si sa bene da chi o come, ma la sua storia divenne una dimostrazione di coraggio e un monito per il mondo, affinché queste orribili vicende di oppressione e tratta dei minori possano essere definitivamente debellate. Da questa storia vera nasce l’ispirazione per Iqbal: Bambini senza paura, un film d’animazione italo-francese realizzato con una tecnica mista di animazione su scenografie disegnate. La storia, rivisitata, è quella del piccolo Iqbal, bravissimo nell’annodare tappeti, talmente bravo da esser in grado di realizzare perfino il pregiatissimo e richiestissimo tappeto Bangapur. Causa la malattia del fratello e l’impossibilità di pagare le medicine, Iqbal partirà alla volta della città convinto di vendere la sua fedele capretta per ricavarne il denaro necessario per i farmaci. Ma sulla sua strada s’imbatterà nel furfante Hakeem, che facendogli credere di aiutarlo lo venderà invece al suo compare Guzman, un uomo senza scrupoli che insieme alla moglie ha messo su un traffico illecito di bambini, comprati come schiavi e poi messi a lavorare senza sosta alla fabbricazione dei tappeti. Deciso a ribellarsi a quella vita, Iqbal diventerà il motore di una rivoluzione destinata a fare scuola.
Dio esiste e vive a Bruxelles
Ea, ragazzina di 11 anni, vive a Bruxelles e racconta la propria storia, dicendo di essere figlia di Dio, uno odioso, antipatico e dedito a rendere miserabile l’esistenza degli uomini. Per uscire da una situazione insostenibile, Ea si appropriarsi di nascosto del computer del padre e ne approfitta per inviare a tutti gli esseri umani un sms con la data della rispettiva morte. In più sceglie come collaboratore il barbone Victor e lo incarica di prendere appunti per scrivere un Nuovo Testamento…
“È un film stupefacente, pieno di trovate e di gag, con un tema altissimo e un sottotesto profondo e dolente, insomma è quasi un capolavoro, e usiamo il ‘quasi’ solo per prudenza. Immaginate una versione meno snob di ‘Il favoloso mondo di Amélie’ arricchita dall’umorismo cosmico dei fratelli Coen, con il copione riveduto da Charlie Kaufman, lo sceneggiatore di ‘Se mi lasci ti cancellò e di altri film che mixano stili e piani narrativi in totale libertà. (…) ‘Dio esiste e vive a Bruxelles’ dura 113 minuti e contiene come minimo 113 idee folgoranti: non c’è una sequenza nella quale Van Dormael e il suo sceneggiatore Thomas Gunzig non si inventino qualcosa, dal pentodi vista visivo e da quello narrativo. (…) Il film di Van Dormael, nella sua apparenza spensierata e a tratti fragorosamente spassosa, descrive un universo parallelo nel quale gli apostoli diventano 18 e le regole vengono rovesciate nell’opposto di se stesse. Vedendolo vi divertirete, ma poi vi ritroverete alle prese con mille domande dalle risposte assai difficili.”
Quo vado?
Checco Zalone non ha ancora esaurito le idee, a ben guardare il successo che continua a raccogliere pellicola dopo pellicola. La sua è un’ascesa continua sia in termini economici che in termini di pubblico, visto che i suoi film sono destinati ad incarnare il nuovo concetto di “nazional popolare”: alla portata di tutti, vengono apprezzati e compresi senza alcuna distinzione di età o estrazione sociale. In poche parole, Zalone fa ridere chiunque. Ormai giunto al suo quarto lungometraggio, le gag non sono mai ripetitive nonostante il suo personaggio resti sempre fedele a se stesso: il sempliciotto di paese, il cosiddetto “italiano medio”, quello pieno di pregiudizi ma che in fondo ispira simpatia proprio per la sua veracità.
Anche in Quo Vado? il protagonista si chiama Checco Zalone e, sebbene non sia più un ragazzino, abita ancora con mamma e papà. Il suo più grande sogno da bambino era diventare un “posto fisso” e il padre, grazie alla classica raccomandazione, riesce a farlo entrare in un ufficio pubblico a mettere timbri. Fidanzato ma con nessuna intenzione di sposarsi (nella sua vita c’è un’altra donna: la madre!), la vita di Checco subisce uno scossone quando viene approvata la legge che elimina le province. Il suo lavoro è in bilico e ci sono solo due possibilità tra cui scegliere: firmare le dimissioni e ricevere una piccola buona uscita oppure accettare un trasferimento. Checco opta per la seconda, seguendo i consigli dell’ex senatore Binetto (interpretato da un divertentissimo Lino Banfi). Il dirigente incaricato di risolvere ogni contratto pendente è una vera lady di ferro (credibilissima in questi ruoli l’attrice Sonia Bergamaschi) che lo sposta da una parte all’altra del Paese al solo scopo di farlo desistere, ma lo spirito d’adattamento e soprattutto la venerazione per il posto fisso permetteranno a Checco di trovarsi bene in qualsiasi posto. Anche… al Polo Nord! Lì il povero impiegato troverà nuovi valori, nuovi stimoli e soprattutto l’amore. Ma nessuno immagina quali saranno le ‘disastrose’ conseguenze di tutto questo…
In Quo vado? il mito del posto fisso è estremizzato: divertenti le scene in cui Lino Banfi si sveglia nel cuore della notte per ammonirlo: “Non lasciare il posto fisso a nessun costo, non firmare!”. Checco Zalone conosce perfettamente quali siano i difetti dell’Italia e gioca con loro, facendone una parodia esagerata ma estremamente veritiera. Il film regala battute e situazioni divertenti, eppure le maggiori risate sono dovute al fatto di finire inevitabilmente col riconoscere nella storia le tare dell’intero popolo italiano. Zalone le esaspera e a volte le ridicolizza, eppure il ritratto finale è ineccepibile: sdrammatizzandoli e svelandoli senza pudore l’attore ha conquistato il cuore dell’Italia che, per quanto possa essere imperfetta, sa ancora ridere di se stessa e dei suoi vizi.
Mercoledì 20 gennaio ore 18.00: DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES – ingresso € 5
Mercoledì 20 gennaio ore 21: IL PICCOLO PRINCIPE – cineforum
Sabato 23 gennaio ore 18.30 e 21: LA CORRISPONDENZA
Domenica 24 gennaio ore 16-18.30: LA CORRISPONDENZA
Domenica 24 gennaio ore 21: LA CORRISPONDENZA – ingresso € 5
Dio esiste e vive a Bruxelles
Ea, ragazzina di 11 anni, vive a Bruxelles e racconta la propria storia, dicendo di essere figlia di Dio, uno odioso, antipatico e dedito a rendere miserabile l’esistenza degli uomini. Per uscire da una situazione insostenibile, Ea si appropriarsi di nascosto del computer del padre e ne approfitta per inviare a tutti gli esseri umani un sms con la data della rispettiva morte. In più sceglie come collaboratore il barbone Victor e lo incarica di prendere appunti per scrivere un Nuovo Testamento…
“È un film stupefacente, pieno di trovate e di gag, con un tema altissimo e un sottotesto profondo e dolente, insomma è quasi un capolavoro, e usiamo il ‘quasi’ solo per prudenza. Immaginate una versione meno snob di ‘Il favoloso mondo di Amélie’ arricchita dall’umorismo cosmico dei fratelli Coen, con il copione riveduto da Charlie Kaufman, lo sceneggiatore di ‘Se mi lasci ti cancellò e di altri film che mixano stili e piani narrativi in totale libertà. (…) ‘Dio esiste e vive a Bruxelles’ dura 113 minuti e contiene come minimo 113 idee folgoranti: non c’è una sequenza nella quale Van Dormael e il suo sceneggiatore Thomas Gunzig non si inventino qualcosa, dal pentodi vista visivo e da quello narrativo. (…) Il film di Van Dormael, nella sua apparenza spensierata e a tratti fragorosamente spassosa, descrive un universo parallelo nel quale gli apostoli diventano 18 e le regole vengono rovesciate nell’opposto di se stesse. Vedendolo vi divertirete, ma poi vi ritroverete alle prese con mille domande dalle risposte assai difficili.” (Alberto Crespi, 26 novembre 2015)
Il piccolo principe
Il film riprende la vicenda raccontata nel romanzo (un pilota si schianta nel deserto e incontra un bambino che proviene da un pianeta lontano e che gli racconta la sua storia) incrociandola con quella di una bambina senza nome (se lui è The little Prince, lei è The little Girl, la ragazzina). La sua mamma la sta preparando ad una vita di impegno e sacrificio per entrare nel mondo degli adulti, ma mentre sta studiando con dedizione dalla finestra aperta plana sulla sua scrivania un aeroplanino di carta. Così avviene l’incontro tra la ragazzina e l’aviatore, un ipotetico Saint-Exupery ormai invecchiato, ispirato allo scrittore che nella realtà è scomparso a 44 anni. L’aeroplanino è fatto con un foglio strappato su cui è tratteggiata l’iconica immagine del Piccolo Principe, quella creata dallo stesso autore, e che dalla prima edizione del ’43 ha sempre accompagnato la pubblicazione del romanzo. “Il film è anche il riflesso del mio stress di genitore e delle mie paure come adulto: penso che i bambini siano sempre stati stressati, credo di esserlo stato pure io da bambino. Quello che volevamo fare nel film era una specie di satira di quello che vuole dire essere un adulto, un genitore e così ci siamo inventati questa sorta di programma a vita che la mamma impone alla figlia. Quello che vorrei è che i genitori vedendo il film riuscissero a riderne e a dire: oddio siamo noi! Io stesso come genitore devo controllarmi dall’essere un padre troppo preoccupato delle attività dei miei figli, dei loro programmi. L’impulso di proteggere i nostri figli può rischiare di trasformarci in mostri del controllo e questo è quello che abbiamo cercato di prendere in giro. E sarebbe bello che riuscissimo a ridere di noi stessi ridendo di questa mamma”.
La corrispondenza
“La forza di un sentimento che non conosce ostacoli”
La corrispondenza è una storia d’amore dei nostri tempi. Forse vent’anni fa si sarebbe potuto classificarla come una storia di fantascienza, l’intreccio poteva sembrare qualcosa al di fuori del mondo. Ma oggi no, perché tutto ciò che vi si racconta è assolutamente realistico. E’ una storia sull’amore che non conosce ostacoli di nessuna natura, sulla forza di questo sentimento così grande e misterioso.
L’idea del film,dice Giuseppe Tornatore, come spesso mi è capitato, è molto antica. Originariamente prevedeva un protagonista maschile e diversi personaggi femminili, ma non mi persuadeva del tutto, e continuavo a tenerla chiusa nel cassetto. In seguito ho ritenuto di rimodellare la storia basandola solo su due personaggi, un uomo e una donna. Poi, grazie alle evoluzioni della tecnologia in tema di comunicazione, è diventato un progetto maturo per essere raccontato.
Una giovane studentessa universitaria impiega il tempo libero facendo la controfigura per la televisione e il cinema. La sua specialità sono le scene d’azione, le acrobazie cariche di suspense, le situazioni di pericolo che nelle storie di finzione si concludono fatalmente con la morte del suo doppio. Le piace riaprire gli occhi dopo ogni morte. La rende invincibile, o forse l’aiuta a esorcizzare un antico senso di colpa. Ma un giorno il professore di astrofisica di cui è profondamente innamorata sembra svanire nel nulla. E’ fuggito? Per quale ragione? E perché lui continua a inviarle messaggi in ogni istante della giornata?
Con queste domande, che conducono la ragazza lungo la strada di un’indagine molto personale, inizia la storia del film.
Mercoledì 13 gennaio ore 18.00: AMY – ingresso € 5
Mercoledì 13 gennaio ore 21: STAR WARS 7 – il risveglio della forza – cineforum
Sabato 16 gennaio ore 18.30 e 21: LA CORRISPONDENZA
Domenica 17 gennaio ore 16-18.30-21: LA CORRISPONDENZA
Amy
Miglior documentario europeo 2015
Candidato Oscar – 2015 miglior documentario
“La cosa più incredibile sono i mille fuori scena ripresi nei momenti più disparati che
ce la restituiscono in tutta la sua faccia tosta e la sua simpatia, qualsiasi cosa stesse facendo. La più toccante sono quei fogli a quadretti pieni di cancellature e cuoricini su cui scriveva i testi strazianti delle sue canzoni.
La scena più sorprendente è quella d’apertura, in cui canta ‘Happy Birthday’ con mille vocalizzi alla festa per i 14 anni di una sua amica – ed è già lei: ‘Amy’, come recita il titolo del bel documentario di Asif Kapadia (…) un piede nel passato e uno nel futuro (…) il film di Kapadia, che oltre a comporre un ritratto davvero complesso e commovente della persona e del suo mondo, costituisce una specie di ‘prova generale’ di ciò che saranno sempre più spesso i documentari oggi che gli archivi pubblici e privati traboccano di immagini riprese su ogni tipo di supporto, che moltiplicano all’infinito le possibilità di raccontare un personaggio. E volendo di reinventarlo, mistificarlo, tirarlo in una direzione o in un’altra, a piacimento. Difficile non pensare che Amy Winehouse è stata vittima anche di questa accelerazione, che non riguarda solo le star, anche se naturalmente la celebrità ce tuplica i rischi. (…)
Ma la cosa più bella del film di Kapadia, che peraltro non fa sconti a nessuno (il padre di Amy minaccia azioni legali), è anche il rispetto con cui tratta una storia così recente e dolorosa.
Limitando al massimo le interviste e usando solo il sonoro, mai le immagini dei testimoni, mentre sullo schermo un montaggio sapiente intreccia filmini di famiglia, dietro le quinte, programmi tv, scherzi con amici e fidanzati ritrovando, dentro questa vita così singolare e insieme così pubblica, un calore e un’intimità davvero incredibili”. (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 17 maggio 2015)
STAR WARS 7 – il risveglio della forza
Il settimo episodio della saga di Guerre Stellari potrebbe essere considerato per certi versi un remake del primo film (Episodio IV) dotato di diverse variazioni fondamentali. Di quell’esordio ne vuole avere la struttura e ne vuole ricalcare i passi e tutto ciò non fa che mettere in evidenza i punti in cui se ne distacca. Il Risveglio della Forza infatti, al contrario dei 6 film che l’hanno preceduto, ribalta il punto di vista su luce e lato oscuro, trovando così subito un nuovo motivo di interesse sul tema più abusato.
Nonostante infatti la protagonista del film sia indiscutibilmente la giovane Rey, non ci vuole un diploma di sceneggiatura per intuire che probabilmente il protagonista di questa nuova trilogia sarà un altro ancora, perché è un altro l’unico personaggio di cui viene introdotto un dilemma, l’unico ad avere scelte, problemi, conflitti e contrasti interiori. E al momento pare una scelta promettente.
Il Risveglio della Forza parte con 50 minuti di straordinario impatto, passo svelto, petto in fuori e sorriso smagliante, spettacolo puro, una macchina gigantesca che si muove con grazia invidiabile, coniugando effetti moderatamente speciali a soluzioni antiche. J.J. Abrams dimostra di guardare più a Spielberg che a Lucas e Episodio VII non fa eccezione, trabocca di soluzioni tecniche spielberghiane, non ne vuole avere il sentimentalismo naive ma ne abbraccia il montaggio sia interno che tradizionale. Teste che entrano nell’inquadratura, corpi che ne escono svelando qualcos’altro, raccordi annunciati dal nome del personaggio che comparirà, stacchi a strappo alternati alle classiche transizioni riprese da Fortezza Nascosta e ancora svelamenti di dettagli fondamentali che arrivano grazie ad un minimo movimento di macchina, Episodio VII ha una narrazione per immagini fantastica che coniuga le capriole e le evoluzioni viste nei trailer a tutto quel che di “invisibile” ma fondamentale il montaggio sa fare. Così Abrams conquista quel lido agognato da tutti in cui sta la sospensione dell’intrattenimento, la capacità di far correre una storia senza perdere lo sguardo, indirizzare lo spettatore rendendolo sempre conscio dell’ambiente in cui agiscono i personaggi. Il cinema d’avventura migliore
La corrispondenza
“La forza di un sentimento che non conosce ostacoli”
La corrispondenza è una storia d’amore dei nostri tempi. Forse vent’anni fa si sarebbe potuto classificarla come una storia di fantascienza, l’intreccio poteva sembrare qualcosa al di fuori del mondo. Ma oggi no, perché tutto ciò che vi si racconta è assolutamente realistico. E’ una storia sull’amore che non conosce ostacoli di nessuna natura, sulla forza di questo sentimento così grande e misterioso.
L’idea del film,dice Giuseppe Tornatore, come spesso mi è capitato, è molto antica. Originariamente prevedeva un protagonista maschile e diversi personaggi femminili, ma non mi persuadeva del tutto, e continuavo a tenerla chiusa nel cassetto. In seguito ho ritenuto di rimodellare la storia basandola solo su due personaggi, un uomo e una donna. Poi, grazie alle evoluzioni della tecnologia in tema di comunicazione, è diventato un progetto maturo per essere raccontato.
Una giovane studentessa universitaria impiega il tempo libero facendo la controfigura per la televisione e il cinema. La sua specialità sono le scene d’azione, le acrobazie cariche di suspense, le situazioni di pericolo che nelle storie di finzione si concludono fatalmente con la morte del suo doppio. Le piace riaprire gli occhi dopo ogni morte. La rende invincibile, o forse l’aiuta a esorcizzare un antico senso di colpa. Ma un giorno il professore di astrofisica di cui è profondamente innamorata sembra svanire nel nulla. E’ fuggito? Per quale ragione? E perché lui continua a inviarle messaggi in ogni istante della giornata?
Con queste domande, che conducono la ragazza lungo la strada di un’indagine molto personale, inizia la storia del film.
Mercoledì 06 gennaio ore 16 e 18.15 – IL PICCOLO PRINCIPE di M. Osborne
Mercoledì 06 gennaio ore 20.30 – STAR WARS 7 di J.J. Abrams
Venerdì 08 gennaio ore 18.30: AMY – ingresso € 5
Venerdì 08 gennaio ore 21: FRANNY
Sabato 09 gennaio ore 16.15: IL PICCOLO PRINCIPE – ingresso € 5
Sabato 09 gennaio ore 18.30: AMY – ingresso € 5
Sabato 09 gennaio ore 21: FRANNY
Domenica 10 gennaio ore 16: IL PICCOLO PRINCIPE – ingresso € 5
Domenica 10 gennaio ore 18.15: FRANNY
Domenica 10 gennaio ore 20.30: FRANNY – ingresso € 5
Il piccolo principe
Il film riprende la vicenda raccontata nel romanzo (un pilota si schianta nel deserto e incontra un bambino che proviene da un pianeta lontano e che gli racconta la sua storia) incrociandola con quella di una bambina senza nome (se lui è The little Prince, lei è The little Girl, la ragazzina). La sua mamma la sta preparando ad una vita di impegno e sacrificio per entrare nel mondo degli adulti, ma mentre sta studiando con dedizione dalla finestra aperta plana sulla sua scrivania un aeroplanino di carta. Così avviene l’incontro tra la ragazzina e l’aviatore, un ipotetico Saint-Exupery ormai invecchiato, ispirato allo scrittore che nella realtà è scomparso a 44 anni. L’aeroplanino è fatto con un foglio strappato su cui è tratteggiata l’iconica immagine del Piccolo Principe, quella creata dallo stesso autore, e che dalla prima edizione del ’43 ha sempre accompagnato la pubblicazione del romanzo. “Il film è anche il riflesso del mio stress di genitore e delle mie paure come adulto: penso che i bambini siano sempre stati stressati, credo di esserlo stato pure io da bambino. Quello che volevamo fare nel film era una specie di satira di quello che vuole dire essere un adulto, un genitore e così ci siamo inventati questa sorta di programma a vita che la mamma impone alla figlia. Quello che vorrei è che i genitori vedendo il film riuscissero a riderne e a dire: oddio siamo noi! Io stesso come genitore devo controllarmi dall’essere un padre troppo preoccupato delle attività dei miei figli, dei loro programmi. L’impulso di proteggere i nostri figli può rischiare di trasformarci in mostri del controllo e questo è quello che abbiamo cercato di prendere in giro. E sarebbe bello che riuscissimo a ridere di noi stessi ridendo di questa mamma”.
STAR WARS 7 – il risveglio della forza
Il settimo episodio della saga di Guerre Stellari potrebbe essere considerato per certi versi un remake del primo film (Episodio IV) dotato di diverse variazioni fondamentali. Di quell’esordio ne vuole avere la struttura e ne vuole ricalcare i passi e tutto ciò non fa che mettere in evidenza i punti in cui se ne distacca. Il Risveglio della Forza infatti, al contrario dei 6 film che l’hanno preceduto, ribalta il punto di vista su luce e lato oscuro, trovando così subito un nuovo motivo di interesse sul tema più abusato.
Nonostante infatti la protagonista del film sia indiscutibilmente la giovane Rey, non ci vuole un diploma di sceneggiatura per intuire che probabilmente il protagonista di questa nuova trilogia sarà un altro ancora, perché è un altro l’unico personaggio di cui viene introdotto un dilemma, l’unico ad avere scelte, problemi, conflitti e contrasti interiori. E al momento pare una scelta promettente.
Il Risveglio della Forza parte con 50 minuti di straordinario impatto, passo svelto, petto in fuori e sorriso smagliante, spettacolo puro, una macchina gigantesca che si muove con grazia invidiabile, coniugando effetti moderatamente speciali a soluzioni antiche. J.J. Abrams dimostra di guardare più a Spielberg che a Lucas e Episodio VII non fa eccezione, trabocca di soluzioni tecniche spielberghiane, non ne vuole avere il sentimentalismo naive ma ne abbraccia il montaggio sia interno che tradizionale. Teste che entrano nell’inquadratura, corpi che ne escono svelando qualcos’altro, raccordi annunciati dal nome del personaggio che comparirà, stacchi a strappo alternati alle classiche transizioni riprese da Fortezza Nascosta e ancora svelamenti di dettagli fondamentali che arrivano grazie ad un minimo movimento di macchina, Episodio VII ha una narrazione per immagini fantastica che coniuga le capriole e le evoluzioni viste nei trailer a tutto quel che di “invisibile” ma fondamentale il montaggio sa fare. Così Abrams conquista quel lido agognato da tutti in cui sta la sospensione dell’intrattenimento, la capacità di far correre una storia senza perdere lo sguardo, indirizzare lo spettatore rendendolo sempre conscio dell’ambiente in cui agiscono i personaggi. Il cinema d’avventura migliore
AMY
Miglior documentario europeo 2015
Candidato Oscar 2015 – miglior documentario
“La cosa più incredibile sono i mille fuori scena ripresi nei momenti più disparati che ce la restituiscono in tutta la sua faccia tosta e la sua simpatia, qualsiasi cosa stesse facendo. La più toccante sono quei fogli a quadretti pieni di cancellature e cuoricini su cui scriveva i testi strazianti delle sue canzoni.
La scena più sorprendente è quella d’apertura, in cui canta ‘Happy Birthday’ con mille vocalizzi alla festa per i 14 anni di una sua amica – ed è già lei: ‘Amy’, come recita il titolo del bel documentario di Asif Kapadia (…) un piede nel passato e uno nel futuro (…) il film di Kapadia, che oltre a comporre un ritratto davvero complesso e commovente della persona e del suo mondo, costituisce una specie di ‘prova generale’ di ciò che saranno sempre più spesso i documentari oggi che gli archivi pubblici e privati traboccano di immagini riprese su ogni tipo di supporto, che moltiplicano all’infinito le possibilità di raccontare un personaggio. E volendo di reinventarlo, mistificarlo, tirarlo in una direzione o in un’altra, a piacimento. Difficile non pensare che Amy Winehouse è stata vittima anche di questa accelerazione, che non riguarda solo le star, anche se naturalmente la celebrità centuplica i rischi. (…) Ma la cosa più bella del film di Kapadia, che peraltro non fa sconti a nessuno (il padre di Amy minaccia azioni legali), è anche il rispetto con cui tratta una storia così recente e dolorosa. Limitando al massimo le interviste e usando solo il sonoro, mai le immagini dei testimoni, mentre sullo schermo un montaggio sapiente intreccia filmini di famiglia, dietro le
quinte, programmi tv, scherzi con amici e fidanzati ritrovando, dentro questa vita così singolare e insieme così pubblica, un calore e un’intimità davvero incredibili”. (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 17 maggio 2015)
Franny
Richard Gere è Franny, un milionario filantropico, sopra le righe, senza famiglia, né lavoro,
convinto di poter alleviare il suo senso di colpa con i soldi e la morfina. Quando, dopo cinque anni, Olivia (Dakota Fanning) l’unica figlia dei suoi più cari amici tragicamente scomparsi, ritorna nella sua vita, per non perdere anche lei, è costretto a mettere a nudo il suo dolore e le sue debolezze.
Il film è l’opera prima di Andrew Renzi, promettente regista di corti e documentari che per il suo debutto ha centrato in pieno la scelta del suo attore protagonista. Richard Gere. Perché, al di là della sceneggiatura debole, delle mancanze strutturali o di alcune scelte poco convincenti, il nucleo della pellicola è indubbiamente Mister Gere, capace di portare sullo schermo un esilarante miliardario, che demolisce stereotipi e inverte luoghi comuni. Divertente anche nel nome, Franny è uno di quei personaggi a tutto tondo, dove ogni particolare è al servizio del quadro generale.
Capelli bianchissimi lasciati crescere nei momenti di depressione, occhi che sono fessure di luce sorridenti e rassicuranti, colorito del volto mutevole in base alle emozioni, foulard al collo per ravvivare e abbellire. Franny è tante cose insieme……