Un film che tocca corde profonde e tesissime, senza rimpianti e con un Omar Sy come sempre perfetto.
Samuel è un eterno adolescente, uno che vive in vacanza dalle responsabilità della vita, che non riesce a fermare il divertimento nemmeno quando l’ora si fa tarda. Poi, una mattina, bussa alla sua porta una vecchia fiamma, la ragazza di un’estate, Kristin, di cui Samuel non serba quasi ricordo e gli mette in braccio un neonato, Gloria: sua figlia. Kristin sale quindi su un taxi e sparisce letteralmente nulla. Samuel la rincorre a Londra, convinto che si tratti di un disguido rapidamente risolvibile, ma otto anni dopo lui e Gloria sono ancora insieme, più legati che mai.
Se fosse un esercizio di ginnastica, un movimento del corpo, il film di Hugo Gélin sarebbe una capovolta. Un movimento acrobatico, a suo modo spettacolare, che però è alla portata di tutti; un’inversione, come quella nascosta nel titolo originale: “Demain tout commence”, e nel meccanismo al centro del film stesso, che non si può svelare senza pregiudicarne in parte la visione.
Una capriola come quelle all’ordine del giorno nel lavoro londinese di Samuel, lo stuntman, nel quale l’impatto è reale, inevitabile, ma l’abilità del professionista sta nel saperlo controllare, nell’andarci incontro nel migliore e più sicuro dei modi. In questo senso, nonostante sia il primo a lamentarsi dello scherzo della sorte e a dire che “non si fa un bambino con un altro bambino”, Samuel si rivela presto un professionista della paternità, che mette il suo “lavoro” al centro di tutto e adatta la sua vita di conseguenza. Questa è la parte su cui il film si concentra di più, giustamente, perché quando, per l’appunto con una capovolta, il quadro cambia radicalmente, nello spettatore non deve andar perso il sapore della prima parte, un sapore di felicità, e Omar Sy, dopo Quasi amici è una perfetta garanzia in questo senso.
Storie come queste possono generare grande adesione ma anche un istintivo rifiuto, perché toccano corde profonde e tesissime, eppure ci sono almeno due ragioni che stanno saldamente dalla parte di Famiglia all’improvviso : la prima è che non c’era un altro modo di raccontare questa storia; non sarà nuovo, sarà smussato dai tratti più spigolosi, ma quello scelto dagli sceneggiatori è probabilmente l’approccio migliore a disposizione; e poi è un film senza rimpianti, almeno da parte dei protagonisti, e in questo genere di racconti sono i rimpianti a secernere retorica, ragion per cui la loro assenza è di per sé un bella notizia.
Un eroe del nostro tempo
Bolshoi Ballet – durante la serata è prevista una gustosa sorpresa
Il viaggio di un giovane nel Caucaso.
Pechorin, un giovane ufficiale, inizia un viaggio attraverso le maestose montagne del Caucaso, lungo un cammino segnato da vari incontri appassionati. Disilluso e noncurante, continua a infleggere pene a se stesso e alle donne attorno a lui… “Dammi tutto, non è ancora abbastanza.” La storia incentrata sull’eroe Pechorin, tratta dal capolavoro letterario di Mikhail Lermontov, segue in tre storie separate i suoi strazianti tradimenti. Pechorin è un vero eroe? O è un uomo come tutti gli altri? Questa nuova produzione dal coreografo Yuri Possokhov è un tragico viaggio poetico che può essere visto solo al Bolshoi.
L’altro volto della speranza di A. Kaurismaki
Orso d’argento al Festival di Berlino 2017
Kaurismaki impartisce importanti lezioni senza dimenticare di far sorridere, come solo i grandi del cinema hanno saputo fare.
Khaled è un rifugiato siriano che ha raggiunto Helsinki dove ha presentato una domanda di asilo che non ha molte prospettive di ottenimento. Wilkström è un commesso viaggiatore che vende cravatte e camicie da uomo il quale decide di lasciare la moglie e, vincendo al gioco, rileva un ristorante in periferia. I due si incontreranno e Khaled riceverà aiuto da Wilkström ricambiando il favore. Nella società che li circonda non mancano però i rappresentanti del razzismo più becero.
L’insoddisfazione esistenziale sembra essere ormai connaturata con la vita dell’uomo occidentale. Non è un caso che il film ci mostri all’inizio Wilkström che se ne va da casa lasciando sul tavolo la fede nuziale.
Kaurismaki ha già però provveduto a metterci sull’avviso: ci sono ben altre tensioni che attraversano il mondo e il volto di Khaled, nero del carbone in cui si è nascosto, ce lo testimonia. Il Maestro finlandese continua a visitare il suo mondo di emarginati ed autoemarginati dalla vita ai quali non è concesso di mostrarsi troppo malinconici (anche se lo sono) e che a buon diritto possono provare gli stessi sentimenti dello Shylock shakespeariano.
A partire da Miracolo a Le Havre in questo universo si è però inserito, con la forza dirompente di un estremo bisogno di solidarietà, il tema dell’immigrazione. Kaurismaki non crede in una religione ed esonera da questo compito anche il suo protagonista siriano, liberandolo così da quel marchio che l’ISIS gli ha imposto e che l’Occidente più retrivo è stato ben lieto di potergli indiscriminatamente applicare. Crede però nell’umanità e i suoi personaggi, a differenza di sacerdoti e leviti, sono buoni samaritani in cui l’egoismo cerca magari di farsi strada ma senza troppe possibilità di successo.
Sasha e il Polo Nord di Rémi Chayé
Vincitore del premio del pubblico al Festival di Annecy 2016
Presentato al Future Film Festival
San Pietroburgo, 1882. Sasha, una giovanissima aristocratica russa, sogna il Grande Nord e si strugge per suo nonno Oloukine, un rinomato esploratore dell’Artico che non ha mai fatto ritorno dall’ultima spedizione alla conquista del Polo Nord. Oloukine ha trasmesso la sua vocazione a Sasha, ma i genitori della ragazza meditano di darla presto in sposa, e hanno già organizzato per lei le nozze. Sasha però si ribella a questo destino e decide di partire alla ricerca di Oloukine, verso il Grande Nord…
“La Tenerezza” narra una storia ambientata a Napoli, ma una Napoli lontana dagli scenari della malavita organizzata: stavolta le vicende hanno luogo fra le mura di una famiglia borghese, in un ambiente familiare in cui le gioie si uniscono a momenti di profondo sconforto e violenza, dove un padre vive con dei figli che purtroppo non ama.
I figli in questione sono due bambini, fratello e sorella, in costante conflitto tra loro, vittime di un clima familiare poco stabile, dove possono soltanto osservare ciò che accade, senza poter assolutamente reagire.
La vita che all’apparenza può sembrare felice, nasconde delle pieghe e delle sfaccettature di pura tragedia. Il dolore è tanto, ma la speranza è l’ultima a morire.
“La Tenerezza” è un film che ben rappresenta il continuo fluire di sentimenti, tra persone diverse, che sembra facciano di tutto per allontanarsi da qualsiasi forma di affetto. Abbiamo un padre che non ama i suoi figli, che vittime della freddezza familiare hanno un rapporto contrastante. Sentimenti che sfumano nel sorriso ma anche nella violenza.
Ma il titolo non è ingannevole, il regista Gianni Amelio ha dichiarato: “Io credo che il bisogno di tenerezza si abbia nei momenti di tragedia quando qualcuno è bombardato da tanti problemi: la tenerezza è un bisogno, è un bisogno darla ma soprattutto riceverla!”. Parole che riassumono il senso del film, che parla d’amore, di storie d’amore che si incrociano e che ha un cast ‘perfetto’, almeno così lo definisce lo stesso director.
Un film, questo, riconosciuto di interesse culturale, con il contributo economico del ministero dei beni e delle attività culturali del ‘turismo-direzione generale cinema’. L’idea di questa pellicola, che unisce insieme la componente drammatica e quella del giallo, è nata a Gianni Amelio dopo che gli è stato proposto un libro “Essere felice”, romanzo dell’autore partenopeo Lorenzo Marone.