Programmazione Cinema Italia dal 23-12 al 27-12

Mercoledì 23 dicembre ore 18.30  – IL VIAGGIO DI ARLO di P. Sohn – ingresso unico € 5
Mercoledì 23 dicembre ore 21 – CHIAMATEMI FRANCESCO di D. Lucchetti
Sabato 26 dicembre ore 16  – IL VIAGGIO DI ARLO di P. Sohn – ingresso unico € 5
Sabato 26 dicembre ore 18 e 20.30  – HEART OF THE SEA – Le origini di Moby Dick di R. Howard
Domenica 27 dicembre ore 16  – CHIAMATEMI FRANCESCO di D. Lucchetti
Domenica 27 dicembre ore 18 – IL VIAGGIO DI ARLO di P. Sohn – ingresso unico € 5
Domenica 27 dicembre ore 20.30  – HEART OF THE SEA – Le origini di Moby Dick di R. Howard

IL VIAGGIO DI ARLO
Prendete un dinosauro pauroso di nome Arlo e un piccolo cavernicolo di nome Spot che ulula come un lupo e che si comporta come un cane. Shakerate il tutto e condite l’impasto con un viaggio preistorico fatto di peripezie, di lucciole danzanti e di grandi lezioni di vita. Cosa otterrete? Ebbene l’ultimo magico film Disney Pixar Il viaggio di Arlo, diretto da Peter Sohn.
Il lungometraggio è una piccola delizia per gli occhi e per il cuore, ed è adatto per grandi e piccini. Di fatto, si pone un bizzarro interrogativo: che cosa sarebbe successo se l’asteroide che ha cambiato per sempre la vita sulla Terra non avesse colpito il nostro pianeta e i dinosauri non si fossero mai estinti?
La pellicola mostra paesaggi mozzafiato ispirati ai paesaggi del nord-ovest degli Stati Uniti e catapulta Arlo in un ambiente vasto e misterioso che lo costringe ad affrontare le proprie paure. Il suo sarà un percorso fisico ed emotivo, nel corso del quale incontrerà molti personaggi particolari, come i T-Rex cowboy.
Insomma, Il viaggio di Arlo è un film spassoso, che gioca sull’inversione dei ruoli, che mostra il lato bestiale degli umani e quello umano delle bestie. È una pellicola spettacolare che mischia action, formazione, ambientazione western e spazi incontaminati da togliere il fiato. Di fatto, la cura dei dettagli è strabiliante. L’ambientazione non si limita al paesaggio esterno, ma presenta anche incredibili variazioni climatiche.
Il viaggio di Arlo col suo picaresco racconto è uno squisito film per famiglie, perché è ricco di emozioni, di ritmo, di poesia e di un delizioso sense of humour. È una visione cinematografico semplice e incantata. Una dolcissima favola capace di divertire, ma soprattutto di intenerire.
CHIAMATEMI FRANCESCO
Chiamatemi Francesco ricostruisce il percorso di Jorge Mario Bergoglio dalla scelta di lasciare gli studi di chimica, la fidanzata per seguire la vocazione ed entrare poco più che ventenne nell’ordine dei Gesuiti, attraverso i difficili anni della dittatura, come Padre Provinciale responsabile di un istituto dove finì per nascondere semineristi e giovani che sfuggivano dalla polizia di Videla. Dalla drammatica esperienza dei desaparecidos e del terrorismo di stato, Bergoglio ne esce provato e da qui matura la decisione di occuparsi degli ultimi, il film racconta gli anni Novanta e il suo impegno come sacerdote di strada. Fino alla chiamata che viene direttamente dal Papa, da Giovanni Paolo II che attraverso la figura del cardinale Quarracino arcivescovo di Buenos Aires gli chiede di diventare vescovo ausiliare della metropoli argentina e di occuparsi soprattutto delle periferie. Fino alla storica giornata dell’11 febbraio 2013 quando Papa Benedetto annuncia il suo ritiro e si prepara il conclave che eleggerà Bergoglio Pontefice, il film si chiude sulle vere immagini di Piazza San Pietro: “Buonasera!
“La preoccupazione più grande era quella di non fare il santino – dice Luchetti – volevo evitare quei momenti dei biopic in cui il regista in qualche modo dà di gomitata al pubblico per dire vedi già si capiva che sarebbe diventato Papa. Il mio modello è stato The Queen di Stephen Frears, ho cercato l’asciuttezza inglese. Per raccogliere informazioni sulla sua giovinezza abbiamo fatto un lungo viaggio in Argentina, abbiamo parlato con tantissime persone, amici, fedeli, praticamente a Buenos Aires non esiste persona che non abbia un ricordo personale sul Papa. Poi però ho smesso di pensare che fosse una persona viva e vegeta e che abitava ad un chilometro da casa mia, ho persino smesso di leggere i giornali che parlavano del Papa. Oggi scopro che è in Africa e che è un viaggio importante”.
Certo per Bergoglio potrebbe essere una visione dolorosa, i momenti drammatici della dittatura sono raccontati con molto realismo (“mi sono affidato molto al mio cosceneggiatore argentino – dice Luchetti – mi ha aiutato a tenere la barra alta”): i compagni scomparsi, la sua professoressa di chimica gettata da un aereo militare nell’oceano come è avvenuto a tanti scomparsi.
Interpreta il Bergoglio giovane l’attore argentino Rodrigo De La Serna che dice: “Ho sentito principalmente la responsabilità di ritrarre una figura di quella statura, la difficoltà non è stato tanto interpretarlo in modo credibile esteriormente quanto rendere la sua emotività, interiorità e spiritualità soprattutto, questo è un personaggio che mi ha insegnato quasi a pregare”.
HEART OF THE SEA – le origini di Moby Dick
 
Ron Howard racconta l’odissea della baleniera Essex che ha ispirato “Moby Dick”.
Heart of the Sea fa propri dei toni avventureschi che francamente mancavano ad Hollywood. Le implicazioni di cui sopra vengono schiacciate da tanta magnificenza visiva, che c’è e che a conti fatti rappresenta il fulcro..
La direzione intrapresa è quella dello spettacolo puro, prendere o lasciare. In un contesto da film d’avventura, che è altra cosa rispetto a certi action sgangherati, smaccatamente hollywoodiani; perché questa è una macchina che quando viene fatta funzionare funziona per davvero. La prima metà del film in tal senso si comporta in maniera pressoché impeccabile: da quando Chase s’imbarca sulla Essex ed ha inizio il suo braccio di ferro “morale” col capitano Pollard, passando per i lunghi mesi di traversata, le prime balene catturate e via dicendo. Poi arriva lei, La balena, quella che già, si apprende, ha devastato un’imbarcazione spagnola.
Si ha l’impressione di essere proprio lì, sulla Essex, bagnati, sballottati, fottutamente impauriti. E si è finanche mossi dalla stessa curiosità, mossi dal desiderio di scoprire cosa viene dopo, cosa ci aspetta nella prossima.

Programmazione Cinema Italia dal 14-12 al 20-12

Lunedì 14 dicembre ore 21 – LA FELICITA’ E’ UN SISTEMA COMPLESSO di G. Zanasi  – ingresso unico € 5
Mercoledì 16 dicembre ore 21  – WOMAN IN GOLD di S. Curtis  –  cineforum
Venerdì 18 dicembre ore 18.30  – IL VIAGGIO DI ARLO di P. Sohn – ingresso unico € 5
Venerdì 18 dicembre ore 21  – CHIAMATEMI FRANCESCO di D. Lucchetti
Sabato 19 dicembre ore 21  – CHIAMATEMI FRANCESCO di D. Lucchetti
Domenica 20 dicembre ore 21  – CHIAMATEMI FRANCESCO di D. Lucchetti

LA FELICITA’ E’ UN SISTEMA COMPLESSO
Per il suo secondo film, La felicità è un sistema complesso, Gianni Zanasi si affida di nuovo a Valerio Mastandrea e Giuseppe Battiston, già protagonisti della sua opera prima, il multipremiato Non pensarci.
Ne La felicità è un sistema complesso, presentato al Torino Film Festival 2015, il protagonista assoluto è un convincente Valerio Mastandrea, che si appropria del ruolo e del ritmo del racconto, e che offre la sua sensibilità e la sua scanzonata simpatia ad un personaggio curioso e complesso. Interpreta l’avvocato Enrico Giusti che per un importante fondo di investimento deve allontanare dirigenti irresponsabili e incompetenti che possano creare problemi alle aziende che gestiscono e che nella maggioranza dei casi hanno ricevuto in eredità. Ma quando Enrico deve convincere due adolescenti rimasti improvvisamente ……
Gianni Zanasi si conferma con questo suo secondo lungometraggio un regista di grande talento; il film sa raccontare da un diverso punto di vista la crisi economica e la crisi nei rapporti interpersonali, in famiglia o nel lavoro, e mette in risalto personaggi ben costruiti che rivelano la fragilità e la confusione di questi anni difficili. Teco Celio e Giuseppe Battiston sono un padre e figlio lontani quanto possono esserlo un amministratore delegato e il suo segretario, e rientrano nel gioco delle coppie all’interno del film, dall’affidabile avvocato Mastandrea e la sconclusionata ex ragazza del fratello interpretata da Hadas Yaron, fino ai due fratelli Filippo e Camilla, legati da un affetto che li fa sentire invincibili contro la cattiveria del mondo.

Da sottolineare la splendida colonna sonora di Niccolò Contessa e la fotografia di Vladan Radovic, che contribuiscono a fare de La felicità è un sistema complesso un film sicuramente godibile e interessante anche da un punto di vista estetico.

 WOMAN IN GOLD

Nell’odissea di Maria Altmann, nata a Vienna nel 1916 e scomparsa a 94 anni in America, dove aveva trovato scampo al nazismo, Helen Mirren ha ritrovato echi della sua vita, tracce delle origini russe e similitudini con sofferenze familiari: «Dopo la rivoluzione d’ottobre la mia bisnonna e le sue sorelle furono costrette a lasciare la Russia, ad abbandonare tutto, a vivere in spazi minuscoli… Sono vicende che segnano la storia del ventesimo secolo, popoli perseguitati, nuclei familiari distrutti. Per prepararmi al film ho letto molto sull’Olocausto, mi è stato utile soprattutto Storia del Terzo Reich di William Shirer, un libro che consiglio a tutti».  

Il resto è venuto con la semplicità che contraddistingue le prove dei grandi interpreti: «Ho girato Woman in Gold perchè sono rimasta colpita da questa vicenda che parla di restituzione, di arte rubata, di giustizia, di famiglia. Poi, man mano, mi sono appassionata alla figura di Maria, una donna piena di umorismo, intelligente, decisa, e con una gran forza di volontà».
La memoria dolorosa della giovinezza spezzata dalla guerra, l’affetto verso i genitori abbandonati per fuggire in America, l’immagine incancellabile di Adele Boch-Bauer, la zia bellissima e conturbante che tradiva nello sguardo malinconico il timore per un futuro minaccioso.
Nella determinazione con cui la signora Maria Altmann chiese, nel 1998, al giovane avvocato Randy Schoenberg (nipote del compositore Arnold) di sostenerla nella battaglia per il recupero dei dipinti di Klimt appartenuti alla sua famiglia, c’è tutto questo. E altro ancora: «Non ho incontrato discendenti degli Altmann prima delle riprese, ma so che hanno dato grande sostegno alla pellicola. Maria ha combattuto per un quadro dall’immenso valore economico, ma per lei si trattava soprattutto di un ricordo, cui teneva profondamente».
Il rapporto con l’avvocato Shoenberg (Ryan Reynolds), altro punto di forza di Woman in Gold, divenne, nell’arco della lunga avventura, sempre più intenso: «Quando uno dei due si deprimeva e sentiva la voglia di mollare, c’era sempre l’altro a sostenerlo. Il processo è durato dieci anni e so che è andata proprio così, ci sono stati giorni di ottimismo e altri di disperazione, come capita nella vita, matrimoni compresi».

Il regista Simon Curtis dice che il racconto di Woman in Gold (dal 15 in 220 sale con Eagle) contiene anche «una lettera d’amore all’America, che accolse Maria e le permise di costruirsi una nuova esistenza». Più di tutto, è l’ennesima prova del talento di una splendida settantenne, attrice premio Oscar (per The Queen) sempre a caccia di nuove sfide, innamorata del Salento dove trascorre la maggior parte del tempo libero, pronta a rintuzzare con vigore le rimostranze delle colleghe coetanee che si lamentano per la scarsità di ruoli: «Sono convinta che in questo settore, come in politica, scienza, affari, giustizia, medicina, sia necessario battersi per far avere alle donne incarichi di rilievo. Più vedremo donne in posizioni importanti, più il cinema rifletterà questa realtà. Quello che conta, però, è farsi parte attiva, non limitarsi a recriminare».

IL VIAGGIO DI ARLO

Prendete un dinosauro pauroso di nome Arlo e un piccolo cavernicolo di nome Spot che ulula come un lupo e che si comporta come un cane. Shakerate il tutto e condite l’impasto con un viaggio preistorico fatto di peripezie, di lucciole danzanti e di grandi lezioni di vita. Cosa otterrete? Ebbene l’ultimo magico film Disney•Pixar Il viaggio di Arlo, diretto da Peter Sohn.
Il lungometraggio è una piccola delizia per gli occhi e per il cuore, ed è adatto per grandi e piccini. Di fatto, si pone un bizzarro interrogativo: che cosa sarebbe successo se l’asteroide che ha cambiato per sempre la vita sulla Terra non avesse colpito il nostro pianeta e i dinosauri non si fossero mai estinti?
La pellicola mostra paesaggi mozzafiato ispirati ai paesaggi del nord-ovest degli Stati Uniti e catapulta Arlo in un ambiente vasto e misterioso che lo costringe ad affrontare le proprie paure. Il suo sarà un percorso fisico ed emotivo, nel corso del quale incontrerà molti personaggi particolari, come i T-Rex cowboy.
Insomma, Il viaggio di Arlo è un film spassoso, che gioca sull’inversione dei ruoli, che mostra il lato bestiale degli umani e quello umano delle bestie. È una pellicola spettacolare che mischia action, formazione, ambientazione western e spazi incontaminati da togliere il fiato. Di fatto, la cura dei dettagli è strabiliante. L’ambientazione non si limita al paesaggio esterno, ma presenta anche incredibili variazioni climatiche.
Il viaggio di Arlo col suo picaresco racconto è uno squisito film per famiglie, perché è ricco di emozioni, di ritmo, di poesia e di un delizioso sense of humour. È una visione cinematografico semplice e incantata. Una dolcissima favola capace di divertire, ma soprattutto di intenerire.
CHIAMATEMI FRANCESCO
Chiamatemi Francesco ricostruisce il percorso di Jorge Mario Bergoglio dalla scelta di lasciare gli studi di chimica, la fidanzata per seguire la vocazione ed entrare poco più che ventenne nell’ordine dei Gesuiti, attraverso i difficili anni della dittatura, come Padre Provinciale responsabile di un istituto dove finì per nascondere semineristi e giovani che sfuggivano dalla polizia di Videla. Dalla drammatica esperienza dei desaparecidos e del terrorismo di stato, Bergoglio ne esce provato e da qui matura la decisione di occuparsi degli ultimi, il film racconta gli anni Novanta e il suo impegno come sacerdote di strada. Fino alla chiamata che viene direttamente dal Papa, da Giovanni Paolo II che attraverso la figura del cardinale Quarracino arcivescovo di Buenos Aires gli chiede di diventare vescovo ausiliare della metropoli argentina e di occuparsi soprattutto delle periferie. Fino alla storica giornata dell’11 febbraio 2013 quando Papa Benedetto annuncia il suo ritiro e si prepara il conclave che eleggerà Bergoglio Pontefice, il film si chiude sulle vere immagini di Piazza San Pietro: “Buonasera!
“La preoccupazione più grande era quella di non fare il santino – dice Luchetti – volevo evitare quei momenti dei biopic in cui il regista in qualche modo dà di gomitata al pubblico per dire vedi già si capiva che sarebbe diventato Papa. Il mio modello è stato The Queen di Stephen Frears, ho cercato l’asciuttezza inglese. Per raccogliere informazioni sulla sua giovinezza abbiamo fatto un lungo viaggio in Argentina, abbiamo parlato con tantissime persone, amici, fedeli, praticamente a Buenos Aires non esiste persona che non abbia un ricordo personale sul Papa. Poi però ho smesso di pensare che fosse una persona viva e vegeta e che abitava ad un chilometro da casa mia, ho persino smesso di leggere i giornali che parlavano del Papa. Oggi scopro che è in Africa e che è un viaggio importante”.
Certo per Bergoglio potrebbe essere una visione dolorosa, i momenti drammatici della dittatura sono raccontati con molto realismo (“mi sono affidato molto al mio cosceneggiatore argentino – dice Luchetti – mi ha aiutato a tenere la barra alta”): i compagni scomparsi, la sua professoressa di chimica gettata da un aereo militare nell’oceano come è avvenuto a tanti scomparsi.
Interpreta il Bergoglio giovane l’attore argentino Rodrigo De La Serna che dice: “Ho sentito principalmente la responsabilità di ritrarre una figura di quella statura, la difficoltà non è stato tanto interpretarlo in modo credibile esteriormente quanto rendere la sua emotività, interiorità e spiritualità soprattutto, questo è un personaggio che mi ha insegnato quasi a pregare”.

Programmazione Cinema Italia dal 07-12 al 14-12

Lunedì 07 dicembre ore 21 – MISS JULIE di L. Ullman (EUROPA CINEMAS 1.0) – ingresso € 5 versione inglese sottotitolata in italiano
Martedì 08 dicembre ore 15.30 e 18  – PAN, viaggio sull’isola che non c’è di Joe Wright – ingresso unico € 5
Martedì 08 dicembre ore 20.30  – DHEEPAN di J. Audiard –  Palma d’Oro Cannes 2015
Mercoledì 09 dicembre ore 21  – DHEEPAN di J. Audiard –  Palma d’Oro Cannes 2015 –  cineforum
Giovedì 10 dicembre ore 21  – LA FELICITA’ E’ UN SISTEMA COMPLESSO di G. Zanasi
Domenica 13 dicembre ore 16  – IL VIAGGIO DI ARLO di P. Sohn – ingresso unico € 5
Domenica 13 dicembre ore 18 e 20.30  – LA FELICITA’ E’ UN SISTEMA COMPLESSO di G. Zanasi
Lunedì 14 dicembre ore 21 – LA FELICITA’ E’ UN SISTEMA COMPLESSO di G. Zanasi  – ingresso unico € 5 
MISS JULIE
Una notte di mezza estate. Questo il tempo in cui si compie la storia di seduzione e potere tra Miss Julie (Jessica Chastain) e il maggiordomo John (Colin Farrell).
In un clima di baldoria e festività, grazie ai vincoli sociali allentati, la figlia del barone e il cameriere di casa si ritrovano da soli nella grande residenza di campagna di fine ottocento e mettono in atto una battaglia che non è solo di classe, ma soprattutto di dominio tra i sessi; un gioco attraente e pericoloso che, poco a poco, si trasforma in tormento e tragedia per i due protagonisti.
Liv Ullmann porta sullo schermo l’adattamento del capolavoro teatrale del drammaturgo August Strindberg, per anni censurato e proibito dalle autorità svedesi perché ritenuto osceno e moralmente sovversivo. Nel farlo rispetta i canoni della tragedia e incentra lo svolgimento della vicenda nella grande cucina, dove i due protagonisti si fronteggiano a forza di monologhi, come avviene su un palco teatrale.
È l’amore che non è amore, che quasi sempre si lega a emozioni contrastanti di repulsione e disprezzo per l’altro che si lascia dominare da noi.
Colin Farrel e Jessica Chastain sono eccezionali nell’esprimere, sostenuti da dialoghi sensibili e sottili, i risvolti psicologici di questa infatuazione. Nel farlo vengono accompagnati da una scelta indovinata del livello visivo: luci e cromie intense che valorizzano i volti dei personaggi e sottolineano l’intensità delle emozioni.
Sotto più aspetti Miss Julie strizza l’occhiolino a Barry Lindon. Se entrambe le opere sono forti di una preesistente sceneggiatura ben strutturata, la fotografia si articola spesso sulla ricostruzione di famosi quadri sette-ottocenteschi, salterà subito all’occhio come la scena finale di Miss Julie sia una trasposizione per il grande schermo dell’Ophelia di John Everett Millais.
PAN – viaggio sull’isola che non c’è
Il romanzo di J.M. Barrie, pubblicato per la prima volta nel lontano 1902, ha ispirato svariate trasposizioni, in altrettanti differenti campi artistici: teatro, musical, animazione e in larga scala, ovviamente, il cinema. Dall’iconico e hollywoodiano Hook di Steven Spielberg alla “vera storia” dietro le quinte del libro, col Neverland di Marc Foster,  fino alla trasposizione “fedele” del Peter Pan di P.J. Hogan. La storia del “bambino che non voleva crescere” è, esattamente al contrario dell’asfissiante tic tac imposto dal celebre “coccodrillo”, senza tempo, leggendaria, ma che in fondo in pochi hanno davvero compreso. Il film diretto da Joe Wright e scritto da Jason Fuchs si prefigge di raccontare una sorta di “storia delle origini”, inventata, di Peter Pan, di Capitan Uncino e di come si arriva all’Isola che non c’è così come l’immaginario popolare la conosce. Personaggio chiave è lo spietato pirata Barbanera, che rapisce piccoli orfani per portarli, con la propria nave volante, proprio sull’Isola, da lui dominata. Tutto cambia quando, tra quei bambini, si troverà proprio Peter, abbandonato misteriosamente quando era in fasce. Dopo aver fatto la conoscenza del disilluso Uncino, il ragazzo muoverà la ribellione contro la tirannia di Barbanera, aiutato dagli indiani di Giglio Tigrato, portando a compimento un’antica profezia che lo riguarda.
DHEEPAN – una nuova vita
Il film che, giustamente, ha vinto alla scorso Cannes la Palma d’oro. Dallo Sri Lanka devastato dalla guerra alle banlieue francesi dove la sola legge è quella criminale. Odissea da inferno a inferno del tamil Dheepan. Un altro film in cui Audiard indaga la barbarie che si cela sotto la scorza della civilizzazione, e i rapporti di potere e sottomissione che si instaurano in un universo chiuso.
Finalmente nelle sale nostre il film che ha portato a Jacques Audiard la Palma d’oro. Regista grande quanto sottostimato – forse perché autore di un cinema-cinema corporale, di fisica e palpabile immediatezza più che cerebral-intellettualistico, e fors’anche perché non disdegna di flirtare con i generi – , Jacques Audiard ancora una volta fa centro pieno con Dheepan. La parte d’inizio sembra un altro dei film sui migranti che scappano dalla lande più desolate della terra per raggiungere con ogni mezzo l’opulenta (ma fino a quando?) e democratica (ma fino a quando?) Europa. Sri Lanka, nel nord Tamil, territorio a tradizione indù, colpito da decenni da una guerra e guerriglia con il governo centrale buddista. Ferocie da entrambe le parti, morti a milioni. Il trentenne Dheepan ha perso la famiglia, gli procurano un falso passaporto da cui risulta sposato, e dunque gli aggregano una donna che non ha mai visto che si spaccerà per sua moglie e una bambina altrettanto sconosciuta come figlia. Tre poveri disgraziati che per passare le frontiere e essere accolti in Europa come rifugiati politici devono recitare la commedia del nucleo familiare sofferente. Arrivano in Francia. Dheepan ottiene presto un posto come custode di uno di quei palazzoni della banlieue dove lo stato non arriva. Diviene presto chiaro come lo sguardo di Jacques Audiard, benché partecipe delle traversie del suo personaggio, non inferisca direttamente il problema globale e attualissimo della migrazione né delle difficoltà di integrazione in una società sempre più multiculturale, quanto disegni un’altra traiettoria umana all’interno di uno spazio, fisico e mentale, che al regista appare tale e quale a una prigione. Dheepan è co-stretto nella banlieue e, pur abitando in una delle capitali della civilissima Europa, ritrova schemi e mentalità da cui era fuggito, ovvero uno stato di guerra.
Audiard non sbaglia niente, perseguendo e attuando la sua idea di cinema primario e insieme sofisticato, capace di massima comunicabilità e presa sullo spettatore. Tutta la parte finale, nel fuoco della guerra urbana, è allarmante, poderosa ed attualissima. Forse si concede allo spettatore qualcosa di troppo nell’ultima scena, ma sono dettagli marginali in un film che resta magnifico e straordinariamente denso e compatto.
LA FELICITA’ E’ UN SISTEMA COMPLESSO
Per il suo secondo film, La felicità è un sistema complesso, Gianni Zanasi si affida di nuovo a Valerio Mastandrea e Giuseppe Battiston, già protagonisti della sua opera prima, il multipremiato Non pensarci.
Ne La felicità è un sistema complesso, presentato al Torino Film Festival 2015, il protagonista assoluto è un convincente Valerio Mastandrea, che si appropria del ruolo e del ritmo del racconto, e che offre la sua sensibilità e la sua scanzonata simpatia ad un personaggio curioso e complesso. Interpreta l’avvocato Enrico Giusti che per un importante fondo di investimento deve allontanare dirigenti irresponsabili e incompetenti che possano creare problemi alle aziende che gestiscono e che nella maggioranza dei casi hanno ricevuto in eredità. Ma quando Enrico deve convincere due adolescenti rimasti improvvisamente ……
Gianni Zanasi si conferma con questo suo secondo lungometraggio un regista di grande talento; il film sa raccontare da un diverso punto di vista la crisi economica e la crisi nei rapporti interpersonali, in famiglia o nel lavoro, e mette in risalto personaggi ben costruiti che rivelano la fragilità e la confusione di questi anni difficili. Teco Celio e Giuseppe Battiston sono un padre e figlio lontani quanto possono esserlo un amministratore delegato e il suo segretario, e rientrano nel gioco delle coppie all’interno del film, dall’affidabile avvocato Mastandrea e la sconclusionata ex ragazza del fratello interpretata da Hadas Yaron, fino ai due fratelli Filippo e Camilla, legati da un affetto che li fa sentire invincibili contro la cattiveria del mondo.
Da sottolineare la splendida colonna sonora di Niccolò Contessa e la fotografia di Vladan Radovic, che contribuiscono a fare de La felicità è un sistema complesso un film sicuramente godibile e interessante anche da un punto di vista estetico.
 IL VIAGGIO DI ARLO
Prendete un dinosauro pauroso di nome Arlo e un piccolo cavernicolo di nome Spot che ulula come un lupo e che si comporta come un cane. Shakerate il tutto e condite l’impasto con un viaggio preistorico fatto di peripezie, di lucciole danzanti e di grandi lezioni di vita. Cosa otterrete? Ebbene l’ultimo magico film Disney•Pixar Il viaggio di Arlo, diretto da Peter Sohn.
Il lungometraggio è una piccola delizia per gli occhi e per il cuore, ed è adatto per grandi e piccini. Di fatto, si pone un bizzarro interrogativo: che cosa sarebbe successo se l’asteroide che ha cambiato per sempre la vita sulla Terra non avesse colpito il nostro pianeta e i dinosauri non si fossero mai estinti?
La pellicola mostra paesaggi mozzafiato ispirati ai paesaggi del nord-ovest degli Stati Uniti e catapulta Arlo in un ambiente vasto e misterioso che lo costringe ad affrontare le proprie paure. Il suo sarà un percorso fisico ed emotivo, nel corso del quale incontrerà molti personaggi particolari, come i T-Rex cowboy.
Insomma, Il viaggio di Arlo è un film spassoso, che gioca sull’inversione dei ruoli, che mostra il lato bestiale degli umani e quello umano delle bestie. È una pellicola spettacolare che mischia action, formazione, ambientazione western e spazi incontaminati da togliere il fiato. Di fatto, la cura dei dettagli è strabiliante. L’ambientazione non si limita al paesaggio esterno, ma presenta anche incredibili variazioni climatiche.
Il viaggio di Arlo col suo picaresco racconto è uno squisito film per famiglie, perché è ricco di emozioni, di ritmo, di poesia e di un delizioso sense of humour. È una visione cinematografico semplice e incantata. Una dolcissima favola capace di divertire, ma soprattutto di intenerire.

PROGRAMMAZIONE CINEMA ITALIA DAL 01-12 AL 06-12

Martedì 01 dicembre ore 21 – MISS JULIE di L. Ullman (EUROPA CINEMAS 1.0) – ingresso € 5 versione inglese sottotitolata in italiano
Mercoledì 02 dicembre ore 21  – MUSTANG di Deniz Gamze Ergüven  –  cineforum
Giovedì 03 dicembre ore 20.30  – MUSTANG di Deniz Gamze Ergüven  –  cinema di classe
Venerdì 04 dicembre ore 21  – DHEEPAN di J. Audiard –  Palma d’Oro Cannes 2015
Domenica 06 dicembre ore 15.30 e 18  – PAN, viaggio sull’isola che non c’è di Joe Wright – ingresso unico € 5
Domenica 06 dicembre ore 20.30  – DHEEPAN di J. Audiard –  Palma d’Oro Cannes 2015

 

MISS JULIE
Una notte di mezza estate. Questo il tempo in cui si compie la storia di seduzione e potere tra Miss Julie (Jessica Chastain) e il maggiordomo John (Colin Farrell).
In un clima di baldoria e festività, grazie ai vincoli sociali allentati, la figlia del barone e il cameriere di casa si ritrovano da soli nella grande residenza di campagna di fine ottocento e mettono in atto una battaglia che non è solo di classe, ma soprattutto di dominio tra i sessi; un gioco attraente e pericoloso che, poco a poco, si trasforma in tormento e tragedia per i due protagonisti.
Liv Ullmann porta sullo schermo l’adattamento del capolavoro teatrale del drammaturgo August Strindberg, per anni censurato e proibito dalle autorità svedesi perché ritenuto osceno e moralmente sovversivo. Nel farlo rispetta i canoni della tragedia e incentra lo svolgimento della vicenda nella grande cucina, dove i due protagonisti si fronteggiano a forza di monologhi, come avviene su un palco teatrale.
È l’amore che non è amore, che quasi sempre si lega a emozioni contrastanti di repulsione e disprezzo per l’altro che si lascia dominare da noi.
Colin Farrel e Jessica Chastain sono eccezionali nell’esprimere, sostenuti da dialoghi sensibili e sottili, i risvolti psicologici di questa infatuazione. Nel farlo vengono accompagnati da una scelta indovinata del livello visivo: luci e cromie intense che valorizzano i volti dei personaggi e sottolineano l’intensità delle emozioni.
Sotto più aspetti Miss Julie strizza l’occhiolino a Barry Lindon. Se entrambe le opere sono forti di una preesistente sceneggiatura ben strutturata, la fotografia si articola spesso sulla ricostruzione di famosi quadri sette-ottocenteschi, salterà subito all’occhio come la scena finale di Miss Julie sia una trasposizione per il grande schermo dell’Ophelia di John Everett Millais.
MUSTANG
Deniz Gamze Ergüven non perde tempo e quasi immediatamente mostra l’insensatezza e la stupida violenza a cui l’uomo può arrivare, se condizionato dalle assurde costrizioni dettategli da una tradizione ingiudicabile.  Una tradizione che può mostrarsi chiusura ermetica, costrizione, prigione e morte di una generazione.
Lale, Nur, Ece, Selma, Sonay sono bellissime e sono sorelle. Dopo la perdita dei genitori vivono con la nonna e lo zio Erol. Sono molto unite e cercano di vivere la loro adolescenza e infanzia come farebbero tutte le ragazze della loro età, nel modo più spensierato possibile. L’asfissiante presenza di una tradizione che va rispettata, di una retrograda visione della realtà, le obbliga a rimanere in casa per non incorrere in situazioni equivoche che potrebbero infangare il nome della loro famiglia, impedendo così loro quel matrimonio che appare sempre più come obbligo e sempre meno come scelta.
Mustang è un’opera completa. Incentrata sul grave problema sociale dei matrimoni combinati e del ruolo sottomesso della donna, il film mostra questo pesante disagio che lega e mina il libero arbitrio di chi spesso non può difendersi e che spesso non tiene conto della giovane età di queste spose, per la maggior parte bambine. Lo stile con cui la regista Erguven racconta è quasi distaccato, vero e incredibilmente semplice ma mai banale. Il film, ambientato e girato in Turchia, è stato scritto da due donne: la regista stessa e la sceneggiatrice francese Alice Winocour. Un punto di vista femminile potente e incredibilmente attraente che permea tutta l’opera. Mustang non è soltanto un’opera attraente esteticamente, eccezionalmente ben scritta e diretta, è narrazione pura di uno spaccato di vita negata, che opprime molte giovani donne dei nostri tempi. Nonostante la sua regista e l’intero cast siano turchi, sarà la Francia a presentare Mustang come candidato alla prossima edizione degli Oscar, essendo la produzione per l’appunto francese. Con la speranza che possa portare sempre più sguardi non indifferenti su questa innaturale tradizione – costrizione.
DHEEPAN – una nuova vita
Il film che, giustamente, ha vinto alla scorso Cannes la Palma d’oro. Dallo Sri Lanka devastato dalla guerra alle banlieue francesi dove la sola legge è quella criminale. Odissea da inferno a inferno del tamil Dheepan. Un altro film in cui Audiard indaga la barbarie che si cela sotto la scorza della civilizzazione, e i rapporti di potere e sottomissione che si instaurano in un universo chiuso.
Finalmente nelle sale nostre il film che ha portato a Jacques Audiard la Palma d’oro. Regista grande quanto sottostimato – forse perché autore di un cinema-cinema corporale, di fisica e palpabile immediatezza più che cerebral-intellettualistico, e fors’anche perché non disdegna di flirtare con i generi – , Jacques Audiard ancora una volta fa centro pieno con Dheepan. La parte d’inizio sembra un altro dei film sui migranti che scappano dalla lande più desolate della terra per raggiungere con ogni mezzo l’opulenta (ma fino a quando?) e democratica (ma fino a quando?) Europa. Sri Lanka, nel nord Tamil, territorio a tradizione indù, colpito da decenni da una guerra e guerriglia con il governo centrale buddista. Ferocie da entrambe le parti, morti a milioni. Il trentenne Dheepan ha perso la famiglia, gli procurano un falso passaporto da cui risulta sposato, e dunque gli aggregano una donna che non ha mai visto che si spaccerà per sua moglie e una bambina altrettanto sconosciuta come figlia. Tre poveri disgraziati che per passare le frontiere e essere accolti in Europa come rifugiati politici devono recitare la commedia del nucleo familiare sofferente. Arrivano in Francia. Dheepan ottiene presto un posto come custode di uno di quei palazzoni della banlieue dove lo stato non arriva. Diviene presto chiaro come lo sguardo di Jacques Audiard, benché partecipe delle traversie del suo personaggio, non inferisca direttamente il problema globale e attualissimo della migrazione né delle difficoltà di integrazione in una società sempre più multiculturale, quanto disegni un’altra traiettoria umana all’interno di uno spazio, fisico e mentale, che al regista appare tale e quale a una prigione. Dheepan è co-stretto nella banlieue e, pur abitando in una delle capitali della civilissima Europa, ritrova schemi e mentalità da cui era fuggito, ovvero uno stato di guerra.
Audiard non sbaglia niente, perseguendo e attuando la sua idea di cinema primario e insieme sofisticato, capace di massima comunicabilità e presa sullo spettatore. Tutta la parte finale, nel fuoco della guerra urbana, è allarmante, poderosa ed attualissima. Forse si concede allo spettatore qualcosa di troppo nell’ultima scena, ma sono dettagli marginali in un film che resta magnifico e straordinariamente denso e compatto.
PAN – viaggio sull’isola che non c’è
Il romanzo di J.M. Barrie, pubblicato per la prima volta nel lontano 1902, ha ispirato svariate trasposizioni, in altrettanti differenti campi artistici: teatro, musical, animazione e in larga scala, ovviamente, il cinema. Dall’iconico e hollywoodiano Hook di Steven Spielberg alla “vera storia” dietro le quinte del libro, col Neverland di Marc Foster,  fino alla trasposizione “fedele” del Peter Pan di P.J. Hogan. La storia del “bambino che non voleva crescere” è, esattamente al contrario dell’asfissiante tic tac imposto dal celebre “coccodrillo”, senza tempo, leggendaria, ma che in fondo in pochi hanno davvero compreso. Il film diretto da Joe Wright e scritto da Jason Fuchs si prefigge di raccontare una sorta di “storia delle origini”, inventata, di Peter Pan, di Capitan Uncino e di come si arriva all’Isola che non c’è così come l’immaginario popolare la conosce. Personaggio chiave è lo spietato pirata Barbanera, che rapisce piccoli orfani per portarli, con la propria nave volante, proprio sull’Isola, da lui dominata. Tutto cambia quando, tra quei bambini, si troverà proprio Peter, abbandonato misteriosamente quando era in fasce. Dopo aver fatto la conoscenza del disilluso Uncino, il ragazzo muoverà la ribellione contro la tirannia di Barbanera, aiutato dagli indiani di Giglio Tigrato, portando a compimento un’antica profezia che lo riguarda.

PROGRAMMAZIONE CINEMA ITALIA DAL 23-11 AL 29-11

Martedì 24 novembre ore 21 – MISS JULIE di L. Ullman (EUROPA CINEMAS 1.0) – ingresso € 5 – versione inglese sottotitolata in italiano
Mercoledì 25 novembre ore 21  – BLACK MASS di S. Cooper –  cineforum
Venerdì 27 novembre ore 21  – BLACK MASS di S. Cooper –  ingresso unico € 5
Domenica 29 novembre ore 16  – SNOOPY & FRIENDS – IL FILM DEI PEANUTS – ingresso
unico € 4
Domenica 29 novembre ore 18  e 20.30  – MUSTANG di Deniz Gamze Ergüven

 

MISS JULIE
Una notte di mezza estate. Questo il tempo in cui si compie la storia di seduzione e potere tra Miss Julie (Jessica Chastain) e il maggiordomo John (Colin Farrell).
In un clima di baldoria e festività, grazie ai vincoli sociali allentati, la figlia del barone e il cameriere di casa si ritrovano da soli nella grande residenza di campagna di fine ottocento e mettono in atto una battaglia che non è solo di classe, ma soprattutto di dominio tra i sessi; un gioco attraente e pericoloso che, poco a poco, si trasforma in tormento e tragedia per i due protagonisti.
Liv Ullmann porta sullo schermo l’adattamento del capolavoro teatrale del drammaturgo August Strindberg, per anni censurato e proibito dalle autorità svedesi perché ritenuto osceno e moralmente sovversivo. Nel farlo rispetta i canoni della tragedia e incentra lo svolgimento della vicenda nella grande cucina, dove i due protagonisti si fronteggiano a forza di monologhi, come avviene su un palco teatrale.
È l’amore che non è amore, che quasi sempre si lega a emozioni contrastanti di repulsione e disprezzo per l’altro che si lascia dominare da noi.
Colin Farrel e Jessica Chastain sono eccezionali nell’esprimere, sostenuti da dialoghi sensibili e sottili, i risvolti psicologici di questa infatuazione. Nel farlo vengono accompagnati da una scelta indovinata del livello visivo: luci e cromie intense che valorizzano i volti dei personaggi e sottolineano l’intensità delle emozioni.
Sotto più aspetti Miss Julie strizza l’occhiolino a Barry Lindon. Se entrambe le opere sono forti di una preesistente sceneggiatura ben strutturata, la fotografia si articola spesso sulla ricostruzione di famosi quadri sette-ottocenteschi, salterà subito all’occhio come la scena finale di Miss Julie sia una trasposizione per il grande schermo dell’Ophelia di John Everett Millais.

 BLACK MASS

Un gangster movie. Non c’è festival senza un boss che uccida infami, costruisca alleanze, provi a conquistare la città e il quartiere in cui è nato, infine finisca malinconicamente in fuga, tradito, fallito, incarcerato, ucciso. A volte anche tutte queste cose insieme, non necessariamente in quest’ordine. Questa volta tocca a Johnny Depp, che nella materia è un maestro: infiltrato in Donnie Brasco, Dillinger il superbandito in Nemico pubblico, trafficante di droga in Blow e ora, in Black Mass-L’ultimo gangster, piccolo calibro dalle grandi ambizioni, un irlandese che comincia come ras del quartiere e finisce con l’ambizione di condizionare il conflitto in Irlanda negli anni ’70. Tutto questo è un film che a Venezia 72 passa fuori concorso, accendendo il Lido con la presenza di quello che potremmo definire l’ultimo divo.
Il cast è riuscitissimo, dalla partecipazione folgorante di Sarsgaard a un Depp per cui Scott Cooper sceglie una maschera alla Marlon Brando e bravissimo nelle scene madri (nella cena dal suo contatto nell’FBI è perfetto), passando per un guasconissimo Joel Edgerton e una Dakota Johnson bella e dolente.
Depp, dopo anni di personaggi gigioni e maschere sempre più grottesche – dai Pirati dei Caraibi non vediamo più la sua vera faccia, sempre più imbolsita, ma trucchi pesanti a renderlo spesso più buffo che altro, torna a una prova d’attore vera e propria, controllata e di alto livello in più punti. E nonostante il ritardo, la birra nella mano destra, il girovita imbarazzante e una certa strafottenza, sembra in forma anche fuori dal set. “Trasformarmi è la mia ossessione” ha confessato, per poi malinconicamente ammettere che “all’inizio della mia carriera mi hanno costruito per finire sui poster delle camere delle ragazzine”. Una maledizione ancora attuale se è vero che molte donne, dai 14 ai 40 anni, hanno addirittura passato la notte a ridosso del red carpet, con copertine, tende e generi di conforto vari, per vederlo per pochi minuti in occasione della proiezione di gala.

 SNOOPY & FRIENDS – IL FILM DEI PEANUTS

In occasione del 65° anniversario dall’esordio della striscia a fumetti e 15 anni dopo la scomparsa del loro creatore, i Peanuts tornano al cinema con una grande produzione dei Blue Sky Studios (L’Era Glaciale, Rio), un lungometraggio animato diretto da Steve Martino (Ortone e il Mondo dei Chi, L’Era Glaciale 4 – Continenti alla Deriva).
Dopo 4 film cinematografici e 45 special televisivi, il ritorno di Charlie Brown e dei suoi amici è di sicuro qualcosa che i fan attendevano da tempo, ma ai tempi l’annuncio portò con sé un grande dubbio: il nuovo progetto infatti sarebbe stato animato in computer grafica. Paura, incertezza, panico.
Com’era possibile pensare di tradurre il tratto stilizzato di Charles Schulz e un fumetto così piatto in qualcosa di tridimensionale? L’aspetto visivo è stata la principale preoccupazione, svanita rapidamente circa un anno e mezzo fa, appena è stato mostrato il primo teaser trailer: Charlie Brown e Snoopy si presentavano con modelli in CG dettagliati e coerenti con la controparte cartacea, grazie anche all’utilizzo di elementi bidimensionali per le espressioni del volto e linee cinetiche di movimento prese direttamente dal fumetto.
La distribuzione italiana ha optato per intitolarlo Snoopy & Friends, relegando al sottotitolo “Il film dei Peanuts”; non è una scelta che appare così assurda, visto che il simpatico cane è di certo il personaggio più conosciuto e amato, quindi in grado di portare il pubblico in sala, ma non solo: Snoopy infatti è la spalla comica del protagonista, che in più di un’occasione riesce a rubargli la scena, anche nei panni di alcuni dei suoi numerosi alter ego; in particolare la lotta contro il Barone Rosso occupa una fetta importante della pellicola, con diverse sequenze oniriche che vedono il cane a bordo del suo aereo da guerra per sconfiggere il suo avversario e trarre in salvo la sua bella. È forse l’unico elemento del film a risultare eccessivo, presente per più tempo del necessario, quando alcune di quelle scene si sarebbero potute sfruttare per vedere Snoopy nel mondo reale, dove è molto più efficace e riesce realmente a rendere speciale ogni scena in cui appare. Pensando allo studio d’animazione che ha prodotto il film, questa side-story ci ricorda per certi versi le avventure di Scrat, che potrebbe effettivamente avere maggiore appeal sugli spettatori più giovani.

 

MUSTANG
Deniz Gamze Ergüven non perde tempo e quasi immediatamente mostra l’insensatezza e la stupida violenza a cui l’uomo può arrivare, se condizionato dalle assurde costrizioni dettategli da una tradizione ingiudicabile.  Una tradizione che può mostrarsi chiusura ermetica, costrizione, prigione e morte di una generazione.
Lale, Nur, Ece, Selma, Sonay sono bellissime e sono sorelle. Dopo la perdita dei genitori vivono con la nonna e lo zio Erol. Sono molto unite e cercano di vivere la loro adolescenza e infanzia come farebbero tutte le ragazze della loro età, nel modo più spensierato possibile. L’asfissiante presenza di una tradizione che va rispettata, di una retrograda visione della realtà, le obbliga a rimanere in casa per non incorrere in situazioni equivoche che potrebbero infangare il nome della loro famiglia, impedendo così loro quel matrimonio che appare sempre più come obbligo e sempre meno come scelta.
Mustang è un’opera completa. Incentrata sul grave problema sociale dei matrimoni combinati e del ruolo sottomesso della donna, il film mostra questo pesante disagio che lega e mina il libero arbitrio di chi spesso non può difendersi e che spesso non tiene conto della giovane età di queste spose, per la maggior parte bambine. Lo stile con cui la regista Erguven racconta è quasi distaccato, vero e incredibilmente semplice ma mai banale. Il film, ambientato e girato in Turchia, è stato scritto da due donne: la regista stessa e la sceneggiatrice francese Alice Winocour. Un punto di vista femminile potente e incredibilmente attraente che permea tutta l’opera. Mustang non è soltanto un’opera attraente esteticamente, eccezionalmente ben scritta e diretta, è narrazione pura di uno spaccato di vita negata, che opprime molte giovani donne dei nostri tempi. Nonostante la sua regista e l’intero cast siano turchi, sarà la Francia a presentare Mustang come candidato alla prossima edizione degli Oscar, essendo la produzione per l’appunto francese. Con la speranza che possa portare sempre più sguardi non indifferenti su questa innaturale tradizione – costrizione.

EUROPA CINEMAS 1.0

Con questo nuovo progetto – denominato Europa Cinemas 1.0 –  il Cinema Italia apre le porte al cinema europeo di qualità. Le proiezioni cercheranno di portare in sala produzioni di paesi europei poco conosciuti ma di indubbio valore. Si comincia con Miss Julie di Liv Ullman, presentato al Toronto International Film Festival, che propone un tris d’assi di attori dell’indubbio spessore quali Jessica Chastain, Colin Farrell e Samantha Morton.

PROGRAMMAZIONE CINEMA ITALIA DAL 16-11 AL 22-11

Lunedì 16 novembre ore 20.30 – SUBURRA di S. Sollima (CINEMA DI CLASSE) – ingresso € 5
Mercoledì 18 novembre ore 21 – SUBURRA di S. Sollima – cineforum
Venerdì 20 novembre ore 21 – ALASKA di C. Cupellini
Sabato 21 novembre ore 18.30 – SNOOPY & FRIENDS – IL FILM DEI PEANUTS – ingresso unico € 5
Sabato 21 novembre ore 21 – ALASKA di C. Cupellini
Domenica 22 novembre ore 16 – SNOOPY & FRIENDS – IL FILM DEI PEANUTS – ingresso unico € 5
Domenica 22 novembre ore 18 e 21 (€ 5) – ALASKA di C. Cupellini

SUBURRA

Formidabile la regia di Stefano Sollima, che si inventa una Roma cupa, lurida, laida, perlopiù notturna, invasa dal fango, flagellata dalla pioggia.

Quel che segue è l’esplicazione di quanto di tenebroso e sordido viene evocato dal (peraltro bellissimo) titolo. Tutto un magma-magna e uno spara-spara in cui confluiscono e sono sodali e collusi: 1) il Vaticano; 2) la politica della destra governativa; 3) la criminalità burina e feroce derivata dal neofascismo degli anni Settanta; 4) i piccoli boss (il capetto di Ostia) e gli zingari cravattari ansiosi di spartirsi la grande torta. Che nel film è una gigantesca operazione urbanistica tesa a metter su una simil Las Vegas sul litorale di Ostia. Ci mettono dentro i capitali parecchi clan e sottoclan criminali coordinati da un super padrino chiamato Samurai, un fascio passato dall’idea, dagli ideali e dalle lotte politiche degli anni Settanta al più pratico e redditizio affarismo. A renderla possibile ci penserà il corrotto deputato di riferimento del centrodestra tessendo la maggioranza necessaria a far passare in parlamento una legge ad hoc. Come no, c’è dentro l’eco precisa di Romanzo criminale con la sua ascesa nera dalle periferie al centro, ma qui siamo ancora di più al rispolvero di un modello narrativo più antico del nostro cinema, quello di film come Le mani sulla città, A ciascuno il suo, Cadaveri eccellenti, con i loro intrecci – in quei casi in Sicilia e a Napoli – di politica e mafia. Suburra frulla quelle suggestioni potenti a tutto il noir e crime nostro degli anni Duemila, da Gomorra (l’esecuzione nel centro estetico dei due bravi del ramo ostiense riprende la scena iniziale del film di Garrone) a ovviamente Romanzo criminale, e ambisce a essere il ritratto perfetto e definitivo di Roma cloaca massima di ogni nequizia contemporanea. La narrazione è scandita da un countdown che ci indica man mano i giorni che mancano all’apocalisse. Al netto del suo ideologismo, Suburra è magnifico, lurido e buio, un’oscurità che è anche dell’anima e che ricorda nei momenti più alti L’infernale Quinlan di Orson Welles.

ALASKA

Alaska è un melodramma a tinte forti, l’odissea amorosa di due protagonisti osteggiati nella loro ricerca di serenità. Un’opera potente dove il riscatto dalla propria condizione diventa dramma ineludibile.

Claudio Cupellini firma Alaska, una coproduzione francese che sente tanto l’influenza del cinema d’oltralpe, infilando una storia di amore e disperazione che non teme affronti, difetti, lungaggini, e che va spedita verso il proprio epicentro narrativo senza curarsi di nulla. Portandosi dietro la forza di una sceneggiatura volteggiante ma precisa, dove ogni spirale narrativa assume la sua giusta intensità all’interno della parabola tragico-affettiva dei suoi protagonisti. Già con Una vita tranquilla Cupellini aveva dimostrato di saper maneggiare con cura il materiale umano di esistenze osteggiate nel loro percorso di vita e ricerca di quiete. Qui il regista veneto punta ancora più in alto, affrontando sfide ancora maggiori, e realizzando ancora una volta un film a cavallo di due Paesi (Francia e Italia), in un interessante scambio di culture che trapela anche da quel mix nel parlato dei due protagonisti (Nadine prova a parlare in italiano, Fausto le risponde in francese, ma quando sono incazzati entrambi utilizzano la loro lingua madre).

Un melodramma amoroso e sentimentale di straordinaria portata dove Cupellini si prende il tempo necessario per entrare nei dettagli della sua storia, raccontando vizi, tic, paure e virtù dei suoi Fausto e Nadine, per poterne poi spiegare azioni e reazioni in una catena di eventi estremamente drammatica ma geometricamente sequenziale. Fausto e Nadine sono giovani privi del senso della prospettiva, e puntano tutte le loro esistenze verso il loro riscatto da una solitudine e da una ‘povertà’ congenite. E in questa dinamica, l’elemento dell’esser spinti dallo stesso obiettivo sarà al tempo stesso il punto di forza e debolezza del loro rapporto. Elio Germano spicca per la tenuta e coerenza emotiva durante tutto l’arco del film, ma anche Astrid Berges-Frisbey non è da meno, incarnazione piena di una cupa e dolorosa bellezza che ricorda vagamente la Marion Cotillard in Un sapore di ruggine e ossa di Audiard.

Un paragone non casuale visto che, a margine di qualche linea narrativa che andava forse un po’ sfoltita garantendo all’opera una maggiore incisività, nei suoi pregi migliori Alaska ricorda da vicino la profondità e la compiutezza del miglior cinema francese, un cinema dove il dramma (in fondo semplice) di due vite ai margini appaiate dal caso o dal destino, può assumere vertici emozionali davvero sorprendenti. Non c’è facile pietismo o un dramma ricattatorio, ma solo la storia (verosimile) di Una vita tranquilla che appare in certi casi un miraggio impossibile da raggiungere.

SNOOPY & FRIENDS – IL FILM DEI PEANUTS

In occasione del 65° anniversario dall’esordio della striscia a fumetti e 15 anni dopo la scomparsa del loro creatore, i Peanuts tornano al cinema con una grande produzione dei Blue Sky Studios (L’Era Glaciale, Rio), un lungometraggio animato diretto da Steve Martino (Ortone e il Mondo dei Chi, L’Era Glaciale 4 – Continenti alla Deriva).

Dopo 4 film cinematografici e 45 special televisivi, il ritorno di Charlie Brown e dei suoi amici è di sicuro qualcosa che i fan attendevano da tempo, ma ai tempi l’annuncio portò con sé un grande dubbio: il nuovo progetto infatti sarebbe stato animato in computer grafica. Paura, incertezza, panico.

Com’era possibile pensare di tradurre il tratto stilizzato di Charles Schulz e un fumetto così piatto in qualcosa di tridimensionale? L’aspetto visivo è stata la principale preoccupazione, svanita rapidamente circa un anno e mezzo fa, appena è stato mostrato il primo teaser trailer: Charlie Brown e Snoopy si presentavano con modelli in CG dettagliati e coerenti con la controparte cartacea, grazie anche all’utilizzo di elementi bidimensionali per le espressioni del volto e linee cinetiche di movimento prese direttamente dal fumetto.

La distribuzione italiana ha optato per intitolarlo Snoopy & Friends, relegando al sottotitolo “Il film dei Peanuts”; non è una scelta che appare così assurda, visto che il simpatico cane è di certo il personaggio più conosciuto e amato, quindi in grado di portare il pubblico in sala, ma non solo: Snoopy infatti è la spalla comica del protagonista, che in più di un’occasione riesce a rubargli la scena, anche nei panni di alcuni dei suoi numerosi alter ego; in particolare la lotta contro il Barone Rosso occupa una fetta importante della pellicola, con diverse sequenze oniriche che vedono il cane a bordo del suo aereo da guerra per sconfiggere il suo avversario e trarre in salvo la sua bella. È forse l’unico elemento del film a risultare eccessivo, presente per più tempo del necessario, quando alcune di quelle scene si sarebbero potute sfruttare per vedere Snoopy nel mondo reale, dove è molto più efficace e riesce realmente a rendere speciale ogni scena in cui appare. Pensando allo studio d’animazione che ha prodotto il film, questa side-story ci ricorda per certi versi le avventure di Scrat, che potrebbe effettivamente avere maggiore appeal sugli spettatori più giovani.

PROGRAMMAZIONE CINEMA ITALIA DAL 11-11 AL 16-11

Mercoledì 11 novembre ore 21  – LA VITA E’ FACILE AD OCCHI CHIUSI di D. Trueba –  cineforum
Venerdì 13 novembre ore 21  – LA VITA E’ FACILE AD OCCHI CHIUSI di D. Trueba  – ingresso € 5
Sabato 14 novembre ore 18.30  – HOTEL TRANSYLVANIA 2 di G. Tartakovsky – ingresso € 5
Sabato 14 novembre ore 21  – SUBURRA di S. Sollima
Domenica 15 novembre ore 16  – HOTEL TRANSYLVANIA 2 di G. Tartakovsky – ingresso € 5
Domenica 15 novembre ore 18  e 21  – SUBURRA di S. Sollima
Lunedì 16 novembre ore 20.30 – SUBURRA
LA VITA E’ FACILE AD OCCHI CHIUSI
Se l’apertura del lungometraggio diretto dal cineasta iberico David Trueba – autore tra l’altro, de La buena vida (1996) – mostra immagini di repertorio di John Lennon e dei Beatles il motivo è semplicissimo: il titolo La vita è facile ad occhi chiusi (2013) altro non è derivato che dal verso “Living is easy with the eyes closed” che colui che ci ha regalato Imagine e Happy Xmas incluse nella sua Stawberry fields forever.
Perché quella raccontata nel corso della oltre ora e quaranta di visione è una vicenda ispirata a quanto realmente accaduto a Juan Carrión, professore d’inglese che, con l’obiettivo di chiedere al futuro compagno di Yoko Ono di correggere i testi trascritti nel proprio quaderno per poterli poi insegnare ai suoi alunni, pare lo abbia incontrato sul set di Come ho vinto la guerra (1967) di Richard Lester.
Un incontro dopo cui sembrerebbe che i quattro “scarafaggi del beat” (e di seguito tutte le band musicali) abbiano cominciato a riportare i testi delle proprie canzoni nel retro degli LP e che Trueba riporta sullo schermo ponendolo nei panni del protagonista Antonio: professore che, appunto, nella Spagna del 1966 intraprende un lungo viaggio in macchina verso il Sud, in quanto ha appreso che Lennon si trova in Almeria (Andalusia) per interpretare la pellicola sopra citata.
Lungo viaggio durante il quale offre un passaggio al sedicenne scappato di casa Juanjo e alla giovane Belén, anche lei apparentemente fuggita da qualcosa; personaggi destinati ad affiancare l’uomo della sua missione ed a stringere con lui una amicizia il cui progressivo sviluppo non finisce altro che per essere posto al centro di una storia di formazione on the road volta a ribadire, tra l’altro, che ci sono canzoni che ti salvano la vita.
Lo sfondo di La vita è facile ad occhi chiusi è la Spagna degli anni Sessanta: contradditoria, grigia, in piena dittatura. La generazione più anziana è ancora condizionata dalla guerra civile e quella più giovane desidera libertà morale e sociale. Questo contrasto è evidente soprattutto nel sud del paese, come la poverissima provincia di Almeria (Andalusia), dove le prime ondate di turismo di massa e le grandi produzioni cinematografiche straniere si scontrano con ritardi e limitazioni. In questo contesto, l’arrivo di John Lennon per partecipare alle riprese del film Come ho vinto la guerra di Richard Lester sottolinea lo stato d’animo di una parte della popolazione giovanile: è un simbolo di libertà, di nuova morale, di progresso”. È sufficiente questa dichiarazione del regista David Trueba per esprimere un giudizio nei confronti di una dolceamara commedia on the road i cui tre protagonisti rappresentano altrettanti forme di ribellione all’ordine costituito, testimoniando che i veri eroi sociali sono sempre persone comuni capaci di superare aspettative e limiti. Perché la vita è come un cane: se sente che hai paura, ti viene a mordere.
HOTEL TRANSYLVANIA 2
Per il Conte Dracula non ci sono dubbi: suo nipote si può chiamare solo Denisovic.
Perché? Perché deve essere slavo e soprattutto deve essere un vampiro, in modo tale che sua figlia Mavis, innamoratasi dello yankee Johnny nel primo Hotel Transylvania del 2012, possa rimanere vicino a lui (mai dimenticare che il Conte è vedovo) e non lasciarlo solo soletto a gestire il resort per mostri che tanto ci aveva divertito nel primo film.
Dracula dunque come Spencer Tracy di Indovina Chi Viene a Cena (1967) e Robert De Niro di Ti Presento i Miei (2000): un padre apprensivo più ipocrita di quello che il finale del bellissimo primo episodio del 2012 ci aveva fatto pensare quando sembrava che il mondo dei mostri e quello degli umani potessero andare anche d’accordo.
E invece ecco in Hotel Transylvania 2 uscire fuori tutte le idiosincrasie del capo famiglia vampiro, il quale non vuole proprio credere che il nipotino Dennni… pardon Denisovic possa anche non essere un vampiro.
In attesa che gli escano i  canini (ma usciranno mai? E se fosse solo un tristissimo umano?), il nonno cercherà di svezzare il piccolo Denisovic alla mostruosità con l’aiuto riluttante dei mostri amici Wayne (il Lupo Mannaro stressato che non può fare l’istruttore di tennis perché subisce troppo il fascino della pallina), Frankenstein, Griffin (L’Uomo Invisibile che prova a convincere gli altri di avere una fidanzata invisibile; in italiano gli dà la voce il Mino Caprio di Peter Griffin), Murray (la Mummia giocherellona) e Blobby (il Blob gelatinoso in grado di inglobare tutto e tutti al suo interno molliccio).
Bellissima l’apparizione finale di un parente del Conte Dracula ancora più old school di lui per quanto riguarda il rapporto con gli umani. Insomma… il sequel è molto divertente per come gioca con la tradizione horror (senza poter utilizzare troppo l’iconografia ufficiale dei Mostri Classici visto che sono proprietà Universal; questa produzione è Sony/Warner) inserendo queste dinamiche dentro una commedia familiare sincera, scritta molto bene e con più di una bella scena d’azione. Il regista Genndy Tartakosky conferma ancora una volta di essere un grande talento.
 SUBURRA
Formidabile la regia di Stefano Sollima, che si inventa una Roma cupa, lurida, laida, perlopiù notturna, invasa dal fango, flagellata dalla pioggia.
Quel che segue è l’esplicazione di quanto di tenebroso e sordido viene evocato dal (peraltro bellissimo) titolo. Tutto un magma-magna e uno spara-spara in cui confluiscono e sono sodali e collusi: 1) il Vaticano; 2) la politica della destra governativa; 3) la criminalità burina e feroce derivata dal neofascismo degli anni Settanta; 4) i piccoli boss (il capetto di Ostia) e gli zingari cravattari ansiosi di spartirsi la grande torta. Che nel film è una gigantesca operazione urbanistica tesa a metter su una simil Las Vegas sul litorale di Ostia. Ci mettono dentro i capitali parecchi clan e sottoclan criminali coordinati da un super padrino chiamato Samurai, un fascio passato dall’idea, dagli ideali e dalle lotte politiche degli anni Settanta al più pratico e redditizio affarismo. A renderla possibile ci penserà il corrotto deputato di riferimento del centrodestra tessendo la maggioranza necessaria a far passare in parlamento una legge ad hoc. Come no, c’è dentro l’eco precisa di Romanzo criminale con la sua ascesa nera dalle periferie al centro, ma qui siamo ancora di più al rispolvero di un modello narrativo più antico del nostro cinema, quello di film come Le mani sulla città, A ciascuno il suo, Cadaveri eccellenti, con i loro intrecci – in quei casi in Sicilia e a Napoli – di politica e mafia. Suburra frulla quelle suggestioni potenti a tutto il noir e crime nostro degli anni Duemila, da Gomorra (l’esecuzione nel centro estetico dei due bravi del ramo ostiense riprende la scena iniziale del film di Garrone) a ovviamente Romanzo criminale, e ambisce a essere il ritratto perfetto e definitivo di Roma cloaca massima di ogni nequizia contemporanea. La narrazione è scandita da un countdown che ci indica man mano i giorni che mancano all’apocalisse. Al netto del suo ideologismo, Suburra è magnifico, lurido e buio, un’oscurità che è anche dell’anima e che ricorda nei momenti più alti L’infernale Quinlan di Orson Welles.

PROGRAMMAZIONE CINEMA ITALIA DAL 04-11 AL 08-11

Mercoledì 04 novembre ore 21  – EVEREST di B. Kormakur –  cineforum
Giovedì 05 novembre ore 21  – EVEREST di B. Kormakur – ingresso € 5
Sabato 07 ottobre ore 18.30  – MINIONS di P. Coffin – ingresso unico € 5
Sabato 07 ottobre ore 21  – IO CHE AMO SOLO TE di M. Ponti
Domenica 08 novembre ore 16  – MINIONS di P. Coffin – ingresso unico € 5
Domenica 08 novembre ore 18  e 20.30 (€ 4)  – IO CHE AMO SOLO TE di M. Ponti

EVEREST
Everest racconta la storia vera di uomini che scalano la montagna più alta del mondo. C’è chi lo fa da tempo, chi lo fa per sport, chi ha pagato profumatamente per permettersi questa esperienza, tutti però sono accomunati dalla domanda che li attanaglia e a cui non sanno dare risposta “perché farlo”.
Rob Hall e Scott Fisher sono due scalatori professionisti che negli anni ‘90 iniziano qualcosa di impensabile fino a poco prima: organizzano delle arrampicate fino alla vetta più alta del mondo, l’Everest appunto, per clienti di ogni sorta. Si fanno la guerra, sono divisi da stili di scalata e approcci alla vita totalmente diversi ma stavolta dovranno collaborare vista la forte affluenza di clienti e viste le condizioni climatiche. Ciò che segue è una delle avventure più entusiasmanti, drammatiche, potenti, risolutive dell’uomo del secolo appena trascorso.
Nel film l’uomo non è l’unico protagonista: la montagna, l’imprevedibilità del clima, gli impedimenti fisici, Madre Natura insomma, dominano le scene. Il regista sa sfruttare questo dialogo tra l’uomo e la Terra e ci fa entrare e uscire dal nostro stato di tensione con la macchina da presa in modo egregio. Scene di dettagli su piedi che si aggrappano insicuri sulle scale ghiacciate sopra una gola di 30 metri vengono alternate a vedute aeree della montagna, si va dal micro al macro, si racconta un respiro diverso da quello umano, si dà spazio nel dialogo visivo anche alla risposta della Natura.
“It’s not the altitude but the attitude” questa la frase che pronuncia Scott Fisher (Jake Gyllenhall) e che ci fa riflettere su ciò che siamo e vogliamo essere in questo film: la pellicola accompagna le nostre sensazioni senza mai abbandonare il punto di vista maestoso della natura e ci dimostra come l’uomo possa pensare di essere in grado di fare qualsiasi cosa. Purtroppo non è sempre così.
MINIONS
I Minions sono una sintesi del meglio della comicità surreale della storia del cinema, da Buster Keaton a Harold Lloyd, Monsieur Hulot e Jerry Lewis, virati in acido e con quella cattiveria necessaria, appunto, a ogni icona della commedia.
È la formula perfetta per far divertire grandi e piccini, tutti diversamente sadici nel vedere i “buoni” presi a calci nel sedere dal folletto maligno di turno. E come spesso accade, la spalla finisce per far andare in secondo piano il suo maestro. Sarà difficile per Gru reggere il confronto, personaggio ormai normalizzato e imborghesito, per quanto piacevolmente.
Gli omini gialli, al grido di “Banana!” conquistano il mondo, nel vero senso della parola, almeno è quanto ci racconta il loro passato. Politicamente scorretti per DNA, i Minions vengono calati nella situazione ideale, i meravigliosi anni Sessanta, dalla East alla West Coast, fino alla meravigliosa Swinging London, dove possono esprimere il meglio del loro potenziale psichedelico. Meno convenzionali della Dreamworks, alternativamente originali alla Pixar, i creativi della Illumination guardano al cinema con un amorevole occhio al passato integrandolo in mondi ideali, in cui ci si può prendere beffe allegramente della Lehman Brothers e della regina d’Inghilterra, perfetta compagnia da pub e grande barzellettiera. Una formula perfetta per gli adulti, che ridono di gusto, mentre i bambini godono delle devastazioni che questi giullari pasticcioni provocano al loro passaggio.
  IO CHE AMO SOLO TE
In “Io che amo solo te” le vicende ruotano intorno a Damiano e Chiara, una giovane coppia che ha deciso di sposarsi a Polignano a Mare, in Puglia. I due giovani affronteranno ostacoli e tentazioni. Al centro della commedia così come in “Mamma Mia” non c’è solo la giovane coppia ma anche i loro genitori.
” Io che amo solo te” è il titolo della nuova commedia romantica di Marco Ponti. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Luca Bianchini, scritto nel 2013, e non può non rimandare a “io che amo solo te”, canzone del 1962 di Sergio Endrigo. Infatti la commedia, come hanno dichiarato gli attori protagonisti, riporta indietro nel tempo, agli anni ’60, ma non ha nulla da invidiare alle commedie americane.
Nel cast ci sono attori noti al pubblico italiano come: Laura Chiatti, Riccardo Scamarcio, Michele Placido, Maria Pia Calzone, Luciana Littizzetto, Pino Abbrescia. Al centro della commedia c’è la tematica dell’autenticità, ognuno riesce a essere se stesso e a prendere le proprie decisioni, indipendentemente dalle pressioni esterne, che pure hanno un certo peso.